Verona, 3 dicembre 2025 – Dopo quasi sette settimane all’ospedale di Borgo Trento, Maria Luisa Ramponi, 59 anni, è stata trasferita ieri nella Casa Circondariale di Montorio. La donna, insieme ai fratelli Dino e Franco, è accusata di aver causato l’esplosione del casolare di famiglia a Castel d’Azzano lo scorso 14 ottobre. Un episodio drammatico che ha provocato la morte di tre carabinieri e il ferimento di altre ventisei persone. Nei prossimi giorni, Ramponi dovrà rispondere alle domande della giudice Carola Musio durante l’interrogatorio di garanzia.
Le condizioni di Maria Luisa Ramponi dopo l’esplosione
La mattina della tragedia, poco dopo le 10 in via Villafranca, Maria Luisa Ramponi era stata soccorsa proprio dai carabinieri che avevano cercato di fermarla. Secondo le ricostruzioni, la donna si trovava dietro a due bombole di gas e avrebbe acceso un accendino, nonostante gli ordini di fermarsi. Poco dopo, l’esplosione. I militari l’hanno bloccata a terra e le hanno prestato i primi soccorsi. Ramponi ha riportato ustioni gravi su varie parti del corpo ed è rimasta in terapia intensiva per circa quindici giorni. Poi è stata trasferita nel reparto grandi ustionati, dove – secondo fonti sanitarie – appariva ancora confusa e disorientata.
Negli ultimi giorni, però, la situazione è migliorata. “Ora sembra più lucida e riesce a sostenere qualche ragionamento”, ha detto l’avvocato difensore Alessandro Ballottin, che l’ha incontrata più volte in ospedale. “Fisicamente è ancora provata, ma credo continuerà a essere curata anche in carcere”, ha aggiunto il legale. Ramponi è stata dimessa il 30 novembre, dopo 47 giorni tra terapia intensiva e Centro Ustioni.
L’interrogatorio in carcere e le accuse
Giovedì 4 dicembre è il giorno fissato per l’interrogatorio di Maria Luisa Ramponi, che avverrà davanti alla giudice per le indagini preliminari Carola Musio, direttamente nel carcere di Montorio. I medici confermano che le sue condizioni fisiche le consentono di sostenere l’interrogatorio, anche se resterà sotto controllo dell’infermeria penitenziaria. La donna è accusata, insieme ai fratelli Franco e Dino, già detenuti a Montorio, di strage, detenzione di materiali esplosivi e resistenza a pubblico ufficiale.
Le indagini, coordinate dalla procura di Verona con il sostituto procuratore Silvia Facciotti, proseguono. Nei prossimi giorni sarà incaricato Danilo Coppe, esperto in esplosivi, per ricostruire nel dettaglio cosa è successo quella mattina. Gli inquirenti vogliono capire se l’esplosione sia stata un gesto volontario o se ci siano stati altri fattori in gioco.
La dinamica dell’esplosione e le testimonianze
Il 14 ottobre, i carabinieri Marco Piffari, Valerio Daprà e Davide Bernardello erano intervenuti nel casolare dei Ramponi dopo alcune segnalazioni dei vicini. Dalle testimonianze raccolte, i militari avevano provato a mediare con i fratelli Ramponi, da tempo al centro di denunce per comportamenti ritenuti pericolosi. Ma la situazione è precipitata rapidamente: l’esplosione ha colpito in pieno i tre carabinieri, che sono morti poco dopo, e ha danneggiato le case intorno.
I vicini hanno denunciato i Ramponi anche per danneggiamento. “Abbiamo sentito un boato fortissimo, poi solo fumo e urla”, ha raccontato una residente di via Villafranca. Sul posto sono intervenuti vigili del fuoco, polizia scientifica e personale del 118. I soccorsi sono andati avanti fino a tarda sera.
Le prossime mosse dell’inchiesta
L’indagine sulla strage di Castel d’Azzano resta aperta su più fronti. Oltre all’analisi degli esplosivi affidata all’esperto Danilo Coppe, la procura sta anche valutando le posizioni dei tre fratelli riguardo alle denunce precedenti presentate dai vicini. “Stiamo cercando di ricostruire ogni dettaglio”, ha spiegato una fonte vicino alle indagini. Nei prossimi giorni saranno ascoltati altri testimoni e raccolti nuovi elementi.
La comunità di Castel d’Azzano resta sotto choc. Nel paese si vedono ancora i segni dell’esplosione: finestre rotte, muri anneriti dal fumo, nastri rossi della polizia a delimitare l’area del casolare. Il paese aspetta risposte dalla giustizia, mentre le famiglie delle vittime chiedono che si faccia piena luce su quanto accaduto.
