Milano, 4 dicembre 2025 – In Italia il gender pay gap resta un problema che non si riesce a risolvere. I dati più recenti dell’Osservatorio Inps mostrano che nel 2024 le donne impiegate nel settore privato non agricolo hanno guadagnato in media 19.833 euro, mentre gli uomini si sono fermati a 27.967 euro. Una differenza di quasi il 29% che, nonostante anni di discussioni e leggi, continua a segnare il mercato del lavoro. La nuova Direttiva europea 2023/970, che entrerà in vigore dal 2026, vuole cambiare le carte in tavola, imponendo più trasparenza e nuovi obblighi per le aziende.
La svolta europea sulla trasparenza nei salari
La nuova normativa europea punta a smantellare le disparità salariali con strumenti concreti: più chiarezza nei pagamenti, obblighi informativi e criteri chiari per stabilire gli stipendi. “La direttiva Ue 2023/970, che gli Stati membri dovranno recepire entro il 7 giugno 2026, impone sistemi retributivi trasparenti e senza discriminazioni”, spiega Boris Martella, counsel di Norton Rose Fulbright. L’obiettivo è semplice: assicurare la parità di salario tra donne e uomini per lo stesso lavoro o per lavori di pari valore, evitando differenze non giustificate.
Le aziende dovranno rivedere come scelgono e promuovono il personale, mappando i ruoli con parametri chiari e neutrali rispetto al genere. Non solo: dovranno mettere nei bandi di lavoro indicazioni precise sulle retribuzioni e adottare regole in linea con la direttiva. “Non si tratta solo di firmare documenti”, sottolinea Martella, “ma di avviare un cambiamento culturale che renda i sistemi salariali trasparenti per tutti”.
Lavoro di pari valore: il nodo della trasparenza
Il concetto di “lavoro di pari valore” resta al centro del dibattito. Giulietta Bergamaschi, managing partner di Lexellent, ricorda come la mancanza di chiarezza nei sistemi salariali e l’incertezza giuridica su questo principio frenino la vera parità. “Le aziende potranno differenziare gli stipendi solo su basi oggettive e indipendenti dal genere”, spiega Bergamaschi, citando competenze, impegno, responsabilità e condizioni di lavoro come criteri accettabili.
La direttiva estende la parità anche alle componenti variabili dello stipendio e spinge le imprese a investire nella formazione del personale HR. “Sarà fondamentale preparare chi si occupa di risorse umane su come valutare e classificare il personale”, aggiunge Bergamaschi. Solo così si potrà affrontare davvero la radice della discriminazione salariale.
Obblighi informativi e mappatura interna
Un altro punto chiave è la conoscenza interna degli stipendi. Gaspare Roma, partner di De Berti Jacchia, spiega che la direttiva rafforza la tutela contro le discriminazioni con obblighi informativi precisi per le aziende. “I lavoratori dovranno poter accedere liberamente ai dati salariali dell’azienda”, dice Roma, “e capire come si stabiliscono le politiche retributive”.
Le imprese dovranno quindi fare una mappatura interna dei livelli salariali, scovare eventuali disparità e assicurare trasparenza anche ai rappresentanti sindacali. Un cambio che richiederà nuovi strumenti e un approccio più aperto e condiviso.
Il cambiamento parte dalle aziende
La direttiva dà un quadro normativo, ma tutto dipenderà da quanto le aziende sapranno cambiare davvero. Daniele Arduini, ceo e co-founder di Kampaay, racconta come nella sua realtà tech dedicata all’event management l’equilibrio di genere sia nato naturalmente dalla ricerca del talento. “Oggi la maggioranza dei nostri dipendenti è donna”, spiega Arduini, “e questo si riflette anche nei ruoli decisionali”.
Per Kampaay la parità salariale non è solo una questione etica, ma una scelta di business: “Paghiamo in base all’impatto e alla complessità del ruolo, non al genere di chi lo ricopre”. Un modello che punta a garantire che a pari responsabilità corrisponda pari trattamento.
Un potenziale inespresso per l’Italia
Laura Basili, co-founder di Women at Business, piattaforma che mette in contatto professioniste, definisce i dati Inps “lo specchio di un Paese che continua a sottovalutare il talento femminile”. Per Basili, un gap del 30% significa un enorme potenziale perso. “La direttiva europea è un passo avanti”, dice, “ma non basterà una legge senza un vero cambio culturale dentro le aziende e nella società”.
Per Basili la vera sfida è superare i pregiudizi che alimentano il divario: riconoscere il lavoro delle donne, sostenerne la carriera e creare ambienti dove conti solo il merito. Solo così la parità di stipendio diventerà una responsabilità di tutti e una condizione necessaria per far crescere il Paese.
Fino al 2026 la strada verso una vera uguaglianza salariale in Italia resta lunga. Ma la nuova direttiva europea, insieme all’impegno delle imprese più innovative, potrebbe segnare l’inizio di una stagione nuova.
