Italia delle filiere: un tesoro da 2.600 miliardi e la sfida della conoscenza per la competitività

Italia delle filiere: un tesoro da 2.600 miliardi e la sfida della conoscenza per la competitività

Italia delle filiere: un tesoro da 2.600 miliardi e la sfida della conoscenza per la competitività

Matteo Rigamonti

Dicembre 4, 2025

Milano, 4 dicembre 2025 – L’Italia delle filiere produttive pesa oggi 2.600 miliardi di euro, con quasi 500 miliardi di esportazioni e più di 17 milioni di lavoratori coinvolti. Numeri che raccontano un sistema industriale al cuore dell’economia nazionale. Ma, come ha sottolineato il nuovo rapporto dell’Osservatorio 4.Manager, presentato stamattina a Milano, questo modello deve cambiare per non perdere terreno. “Non basta più solo produrre: la vera sfida è creare, condividere e proteggere la conoscenza lungo tutta la filiera”, ha detto Stefano Cuzzilla, presidente di 4.Manager, davanti a una platea di imprenditori e manager nella sede di Assolombarda.

Le filiere diventano ecosistemi di conoscenza

Il rapporto, intitolato “Le filiere produttive nell’era della conoscenza aumentata”, racconta un passaggio decisivo: le vecchie catene produttive stanno lasciando spazio a veri e propri ecosistemi cognitivi. Qui la competitività si misura nella capacità di far circolare competenze e saperi. “Quando la conoscenza gira liberamente tra imprese, fornitori e territori, il sistema si moltiplica: entra uno, escono mille”, ha spiegato Cuzzilla. È la filosofia dell’impresa 5.0, dove tecnologia – dall’intelligenza artificiale alle piattaforme digitali – si intreccia con creatività e cultura d’impresa.

Secondo il rapporto, le filiere più strategiche identificate da Istat – dall’Agroalimentare all’Energia, dalla Farmaceutica all’Abbigliamento, dalla Meccanica all’Ict – producono oltre il 56% del valore aggiunto nazionale e il 67% dell’export. Nei settori più avanzati, la produttività per lavoratore arriva a 269.000 euro nella Chimica e 137.000 nella Metallurgica. “La forza dell’Italia sta proprio nell’integrare produzione, mercati esteri e conoscenza”, si legge nel documento.

Digitale e competenze: i nodi da risolvere

Ma la digitalizzazione delle imprese italiane procede a rilento. Solo l’8,2% delle aziende usa l’AI integrata nella produzione (contro il 13,5% della media UE). E meno della metà della popolazione ha competenze digitali di base (45,8%, contro il 55,6% europeo). I servizi digitali pubblici per le imprese sono all’80,9%, appena sotto la media europea dell’86,2%. “C’è ancora molta strada da fare”, ammette Cuzzilla.

Un altro tema caldo è quello dell’etica, della governance dell’intelligenza artificiale e della cybersicurezza. Quasi un’impresa su quattro dice che i problemi etici frenano l’adozione dell’AI: servono regole chiare su privacy, trasparenza degli algoritmi e responsabilità nelle decisioni automatizzate. La sicurezza informatica diventa così una priorità assoluta: filiere più digitali hanno bisogno di infrastrutture robuste per difendersi da attacchi che potrebbero bloccare flussi informativi strategici.

Capitale umano e manageriale: la chiave per competere

Il rapporto dedica molto spazio alle competenze manageriali. Nel 2024 quasi il 10% delle nuove assunzioni dirigenziali ha riguardato Supply Chain Manager con competenze in ICT, dati e sostenibilità. Però, oltre metà delle aziende fatica a trovare queste figure. A pesare sono anche squilibri strutturali: più del 40% dei dirigenti ha più di 55 anni e solo il 22% è donna. “Serve un ricambio generazionale e più spazio per nuove professionalità”, ha commentato Giuseppe Torre, responsabile scientifico dell’Osservatorio.

Le filiere più innovative – Chimica (274), ICT (238), Farmaceutica (231) – hanno il tasso più alto di managerialità, mentre settori come Turismo (24), Logistica e Costruzioni (57) mostrano meno capacità di innovare. Il manager del futuro? “Non sarà più solo uno specialista, ma un regista della conoscenza: capace di capire i cambiamenti e mettere insieme competenze diverse”, ha spiegato Torre.

Le tre strade per il domani

Il rapporto indica tre strade da seguire per far crescere le filiere italiane. La prima: costruire infrastrutture della conoscenza, con piattaforme di dati condivisi, standard comuni e strumenti per individuare subito le competenze giuste. La seconda: spingere la digitalizzazione delle PMI, coinvolgendole nelle reti delle grandi imprese e aiutandole a usare l’intelligenza artificiale in tutte le fasi produttive. La terza: puntare sul capitale manageriale, con Academy, corsi di aggiornamento, esperienze in diversi settori e programmi di mentorship.

“Parlare oggi di filiere nell’era della Conoscenza Aumentata significa capire che non sono più semplici trasformatori di materie, ma ecosistemi che trasformano saperi in ‘saper fare’ e il ‘saper fare’ in prodotti di valore”, ha concluso Torre. Solo così, con innovazione digitale, cultura d’impresa e nuove competenze, l’Italia potrà restare protagonista nella nuova economia della conoscenza.