Londra, 5 dicembre 2025 – I cambiamenti climatici stanno peggiorando la crisi dell’inquinamento da plastica, accelerando la formazione e la diffusione delle microplastiche che minacciano interi ecosistemi, in particolare i grandi predatori come le orche. A lanciare l’allarme è uno studio dell’Imperial College di Londra, pubblicato su Frontiers in Science, che mette in luce come le emergenze del clima e della plastica siano ormai intrecciate e si alimentino a vicenda.
Clima e plastica: una crisi doppia che non si ferma
I ricercatori britannici spiegano che l’aumento delle temperature, dell’umidità e l’esposizione ai raggi UV fanno degradare la plastica più velocemente, creando frammenti sempre più piccoli. “**L’inquinamento da plastica e il cambiamento climatico sono due crisi che si rafforzano a vicenda. Hanno cause e soluzioni comuni”, dice Frank Kelly, docente alla School of Public Health dell’Imperial College. Kelly sottolinea l’urgenza di “un’azione coordinata a livello internazionale per evitare che la plastica usata si accumuli nell’ambiente”.
Il problema non riguarda solo i mari. Le tempeste forti, le inondazioni e i venti violenti – eventi sempre più frequenti negli ultimi anni – aiutano a spezzare e disperdere i rifiuti di plastica. Questi detriti, stimati in circa sei miliardi di tonnellate nel mondo, finiscono non solo nelle discariche, ma anche negli ecosistemi acquatici, terrestri e persino nell’aria.
Microplastiche: il pericolo invisibile che sale nella catena alimentare
Le microplastiche, spesso invisibili a occhio nudo, rappresentano un rischio crescente per la salute degli animali e, indirettamente, anche per quella degli esseri umani. Gli scienziati dell’Imperial College spiegano che queste particelle possono fungere da “cavalli di Troia”, trasportando altri contaminanti come metalli pesanti, pesticidi e sostanze chimiche “eterne” (Pfas). Il clima estremo favorisce l’adesione di queste sostanze tossiche alle microplastiche, aumentando il rischio che passino lungo la catena alimentare.
Secondo lo studio, i predatori al vertice – come le orche – sono i più a rischio. Questi animali accumulano nel tempo le sostanze velenose che ingeriscono con le prede contaminate. Gli effetti sulla loro salute e sulla capacità di riprodursi sono ancora poco chiari, ma potrebbero essere molto gravi. “Le microplastiche non sono solo un problema ambientale o estetico: sono un veicolo per sostanze che possono danneggiare gli ecosistemi a lungo termine”, spiega uno degli autori.
Le soluzioni: meno plastica usa e getta e regole globali
Per frenare il problema, i ricercatori propongono alcune misure concrete. Prima di tutto, eliminare la plastica monouso non indispensabile, che pesa per circa il 35% della produzione globale. Un dato che fa riflettere: gran parte di questa plastica finisce rapidamente tra i rifiuti, senza possibilità di riciclo.
Un’altra priorità è ridurre la produzione di plastica vergine, cioè quella fatta da materie prime fossili. Infine, si suggerisce di creare standard internazionali per rendere la plastica più facile da riutilizzare e riciclare. “Solo un lavoro coordinato tra governi, industrie e cittadini può fermare questa tendenza”, ribadisce Kelly.
Una sfida globale che chiede risposte condivise
Il quadro che emerge dallo studio dell’Imperial College è chiaro: senza interventi rapidi e condivisi, la situazione rischia di peggiorare ancora. Le microplastiche continueranno a diffondersi, portando con sé contaminanti sempre più pericolosi. Eppure, secondo gli autori, c’è spazio per migliorare: “Abbiamo visto che alcune politiche per ridurre la plastica hanno già dato risultati positivi in diversi Paesi”, conclude Kelly.
In attesa di scelte a livello internazionale, la ricerca invita a non abbassare la guardia. Il legame tra cambiamenti climatici e inquinamento da plastica è ormai sotto gli occhi di tutti. Affrontarlo serve uno sforzo collettivo e senza scorciatoie.
