Roma, 5 dicembre 2025 – Le retribuzioni in Italia salgono più velocemente dei prezzi nel 2025, con un aumento previsto del 2,9% delle retribuzioni pro capite entro fine anno. Ma il divario con l’inflazione accumulata dopo la pandemia resta ancora netto. A dirlo è l’Istat nel suo ultimo report sulle prospettive dell’economia italiana per il 2025 e il 2026, pubblicato questa mattina.
Retribuzioni in aumento, ma il potere d’acquisto non decolla
Secondo i dati dell’Istat, a settembre 2025 le retribuzioni contrattuali reali sono ancora inferiori dell’8,8% rispetto a gennaio 2021. Un segnale chiaro della difficoltà delle famiglie italiane a recuperare il potere d’acquisto eroso dall’aumento dei prezzi negli ultimi anni. Nel report si legge che “la crescita tendenziale delle retribuzioni contrattuali ha rallentato rispetto al trimestre precedente”, anche se resta sopra il tasso di inflazione.
Dietro questo rallentamento ci sono due fattori: la situazione stabile nei servizi privati e un calo netto nel settore industriale. Solo in parte compensati da una lieve accelerazione nel pubblico, grazie all’erogazione dell’indennità di vacanza contrattuale.
Domanda di lavoro ancora forte, ma salari meno brillanti
Nonostante la domanda di lavoro rimanga “ancora vivace”, come sottolinea l’Istat, le retribuzioni lorde pro capite sono cresciute nei primi tre trimestri del 2025. Ma la crescita è meno forte rispetto agli anni passati. Per il quarto trimestre, l’istituto prevede una crescita più lenta rispetto ai mesi precedenti.
Il 2025 dovrebbe chiudersi con una crescita delle retribuzioni pro capite del 2,9%, garantendo così un recupero parziale rispetto all’inflazione, come già successo nel 2024. Tuttavia, il divario tra salari e prezzi rimane grande: il potere d’acquisto perso tra il 2022 e il 2023 non sarà recuperato completamente nei prossimi mesi.
2026, un anno di crescita più lenta
Guardando avanti, l’Istat stima per il 2026 una crescita media delle retribuzioni pro capite del 2,4%. Una leggera frenata rispetto al 2025 che rischia di ridurre ancora i margini di recupero del potere d’acquisto. Nel report si sottolinea infatti che “nel 2026 la crescita delle retribuzioni pro capite è attesa in leggera decelerazione”, con un conseguente restringimento delle possibilità di recupero dei salari persi nel biennio 2022-2023.
Il quadro che emerge è quello di un mercato del lavoro ancora attivo – soprattutto nei servizi e nella pubblica amministrazione – ma con salari che faticano a tenere il passo con l’aumento dei prezzi accumulato negli ultimi anni.
Sindacati e lavoratori chiedono risposte urgenti
I dati hanno subito scatenato reazioni tra i rappresentanti dei lavoratori. “Serve un intervento deciso per colmare il divario tra salari e costo della vita”, ha detto Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, raggiunto al telefono nel pomeriggio. “Le famiglie non riescono ancora a recuperare quanto perso durante la crisi pandemica”.
Tra i lavoratori cresce la frustrazione. In un bar di via Nazionale, a Roma, Marco, impiegato nel settore dei servizi, racconta: “Ogni anno si recupera qualcosa, ma i prezzi sono aumentati troppo in fretta. La busta paga non basta mai”. Un sentimento che si ritrova anche nei dati Istat e nelle richieste dei sindacati.
Il nodo del potere d’acquisto resta irrisolto
In sintesi, anche se le retribuzioni crescono più dei prezzi, il recupero del potere d’acquisto perso durante la pandemia è ancora lontano. Il 2026 si annuncia come un anno di ulteriore rallentamento dei salari, con margini di recupero sempre più stretti. Solo allora – forse – si potrà parlare di una vera svolta. Per ora, la questione resta aperta.
