Roma, 7 dicembre 2025 – La cucina italiana è pronta a scoprire il suo destino all’Unesco. Il 10 dicembre, a Nuova Delhi, il Comitato mondiale deciderà se inserire la nostra tradizione gastronomica tra i patrimoni immateriali dell’umanità. Un riconoscimento che, secondo uno studio dell’Università Unitelma Sapienza di Roma, potrebbe portare vantaggi importanti non solo all’immagine del Paese, ma anche al turismo, all’occupazione e allo sviluppo locale.
Unesco, una spinta che si vede anche nei numeri
Lo studio guidato da Pier Luigi Petrillo, direttore della Cattedra Unesco e docente di Cultural heritage and food alla Luiss Guido Carli, ha confrontato i dati su arrivi turistici e presenze in siti italiani con e senza riconoscimento Unesco tra il 2023 e il 2024. Il risultato è netto: nei siti Unesco gli arrivi sono saliti del 7,39%, mentre in quelli senza il marchio si è registrato un calo del 3,26%. Ancora più evidente la differenza sulle presenze: +14,87% nei siti Unesco, contro un modesto +2,5% negli altri.
“Abbiamo messo insieme dati su turismo, produzioni locali e lavoro”, ha spiegato Petrillo ad alanews.it. “I posti e le tradizioni agroalimentari con il riconoscimento Unesco sono più attrattivi e produttivi rispetto a quelli senza. Questa differenza si è fatta ancora più forte dopo la pandemia”. Nel 2021, il primo anno dopo il Covid, gli arrivi nei siti Unesco sono aumentati del 53,59% rispetto al 2020; nel 2022 la crescita è stata del 67,83%. Nei siti senza Unesco, invece, l’aumento si è fermato al 41,24% e al 50,65%.
Quando il riconoscimento cambia il territorio: Pantelleria, Napoli e il Prosecco
I numeri trovano conferma nei casi concreti. A Pantelleria, per esempio, dopo che la pratica agricola della vite ad alberello è stata riconosciuta dall’Unesco, il turismo cresce in media del 9,7% all’anno, con un vero boom fuori stagione del 75%. Ma è l’occupazione a fare impressione: in dieci anni, gli addetti negli agriturismi dell’isola sono aumentati del 500%.
A Napoli, i Pizzaiuoli Napoletani iscritti nella lista Unesco dal 2017 hanno visto crescere i corsi professionali del 283% e le scuole accreditate all’estero del 420%. “Il riconoscimento ha dato una grande spinta all’internazionalizzazione”, racconta un rappresentante dell’associazione.
Nel Nord-Est, le Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene hanno registrato un aumento delle strutture turistiche del 45,4% (contro il 3% della media nazionale in siti simili) e dei posti letto del 35,4% (contro l’8,2%). “Il marchio Unesco ha fatto davvero la differenza”, conferma un operatore locale.
La cucina italiana punta all’Unesco: attese e sfide
Il dossier italiano, per la prima volta dedicato non a una singola ricetta ma a un intero movimento gastronomico, ha superato la fase tecnica lo scorso novembre. Ora si aspetta solo il via libera politico. In gara ci sono sessanta candidature da cinquantasei Paesi, ma la cucina italiana vuole diventare il simbolo di un’identità collettiva e un motore di sviluppo.
Secondo Petrillo, “il riconoscimento potrebbe dare una spinta a tutto il settore agroalimentare e turistico”. Non solo nelle grandi città d’arte o nelle mete più famose, ma anche in piccoli borghi e territori meno noti. “L’esperienza di altri siti mostra che il marchio Unesco attira visitatori e investimenti”, aggiunge il docente.
In attesa del verdetto, occhi puntati sul futuro
Mentre si aspetta la decisione di Nuova Delhi, il settore osserva con attenzione i possibili sviluppi. Gli operatori turistici sperano in un rilancio dell’incoming internazionale. Le associazioni di categoria ricordano l’importanza di valorizzare le filiere locali. “Non è solo una questione di numeri”, conclude Petrillo. “Il riconoscimento Unesco è anche una responsabilità: quella di proteggere e trasmettere alle nuove generazioni un patrimonio che fa parte della nostra identità”.
Il verdetto arriverà il 10 dicembre. Solo allora si capirà se la cucina italiana potrà fregiarsi di un titolo che – numeri alla mano – potrebbe cambiare il destino di intere comunità.
