New York, 9 dicembre 2025 – I prezzi del petrolio sono scesi ancora ieri, con il barile che ha chiuso a 58,88 dollari sul mercato di New York, segnando un calo del 2%. Dietro questa flessione ci sono le incertezze sulla domanda mondiale e le tensioni geopolitiche che continuano a pesare sul settore energetico.
Petrolio giù: cosa sta frenando i prezzi
Lunedì è cominciato con segnali di debolezza già dalle prime ore. I due principali riferimenti, il West Texas Intermediate (WTI) e il Brent, hanno virato in negativo. Gli analisti di Wall Street, sentiti da Reuters poco dopo le 11 locali, hanno spiegato che il calo è frutto di più fattori: da una parte l’aumento delle scorte negli Stati Uniti, dall’altra i timori per un rallentamento della domanda in Asia e in Europa. “Il mercato teme che la ripresa economica sia più lenta del previsto”, ha detto Mark Evans, trader della Energy Partners di Manhattan.
Scorte Usa in aumento, domanda globale in affanno
Secondo l’Energy Information Administration (EIA), le riserve di greggio negli Stati Uniti sono cresciute di circa 3 milioni di barili nell’ultima settimana, un dato che ha sorpreso molti. “Pensavamo che le scorte si stabilizzassero, invece continuano a salire”, ha ammesso Lisa Grant, analista di settore. Questo si aggiunge a un quadro già segnato da una domanda internazionale meno vivace: la Cina, primo importatore mondiale, ha ridotto gli acquisti per il secondo mese di fila, mentre in Europa la crisi industriale pesa sul consumo di energia.
Tensioni in Medio Oriente, ma il petrolio non si muove
Nonostante le nuove tensioni tra Iran e Arabia Saudita nelle ultime 48 ore, il prezzo del petrolio non ha trovato supporto. Gli operatori restano cauti, anche dopo le dichiarazioni dell’OPEC+ che ha confermato l’intenzione di lasciare invariata la produzione almeno fino al prossimo trimestre. “Il mercato sembra già scontare i rischi geopolitici”, ha commentato un funzionario della Borsa di New York, sottolineando come la volatilità resti alta.
Mercati in calo, titoli energetici in rosso
La chiusura sotto i 59 dollari è uno dei livelli più bassi degli ultimi tre mesi. A Piazza Affari, i titoli delle grandi compagnie energetiche – come Eni e Saipem – hanno subito ribassi tra l’1 e il 2%. “Gli investitori sono cauti e aspettano segnali più chiari sui prezzi”, ha detto un broker milanese appena dopo la chiusura. Anche a Londra e Francoforte si sono viste vendite sui titoli del settore oil & gas.
Cosa aspettarsi nelle prossime settimane
Gli esperti non escludono altre oscillazioni nel breve periodo. Un report di Goldman Sachs, uscito ieri, prevede che il prezzo del petrolio possa restare sotto i 60 dollari almeno fino a gennaio 2026, a meno di sorprese sulla domanda o nuovi tagli alla produzione da parte dell’OPEC+. “Il vero rischio è legato a come andrà l’economia mondiale”, si legge nel documento. Solo una ripresa più forte dei consumi, soprattutto in Asia, potrebbe cambiare la rotta.
L’Italia tra sollievo momentaneo e incertezze
Per l’Italia, che dipende molto dalle importazioni di energia, il calo del prezzo del petrolio è un respiro per famiglie e imprese. Ma gli esperti avvertono che non è detto che questa fase di prezzi bassi duri a lungo. “La situazione resta fragile”, ha detto Carlo Bianchi, docente di Economia all’Università Bocconi. In ogni caso, la volatilità del mercato petrolifero continuerà a pesare sui costi dell’energia e sui bilanci delle aziende italiane nei prossimi mesi.
In sostanza, ieri è stato un altro giorno che ha confermato quanto il mercato del petrolio resti sensibile a ogni segnale dall’economia mondiale e dai conflitti geopolitici. E gli operatori sanno bene che basta poco per far cambiare ancora una volta rotta ai prezzi.
