Hamas e i crimini contro l’umanità: la denuncia di Amnesty dopo il 7 ottobre

Hamas e i crimini contro l'umanità: la denuncia di Amnesty dopo il 7 ottobre

Hamas e i crimini contro l'umanità: la denuncia di Amnesty dopo il 7 ottobre

Matteo Rigamonti

Dicembre 11, 2025

Tel Aviv, 11 dicembre 2025 – Amnesty International ha rotto il silenzio con una presa di posizione netta e senza precedenti, puntando il dito contro Hamas e altri gruppi armati palestinesi. L’accusa è pesante: crimini contro l’umanità durante e dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023 nel sud di Israele. Il rapporto, pubblicato oggi e lungo 173 pagine, arriva dopo mesi di indagini sul campo e raccolta di testimonianze dirette. Amnesty parla senza mezzi termini di “violazioni della legge umanitaria internazionale, crimini di guerra e crimini contro l’umanità” commessi dai miliziani palestinesi.

Amnesty fa i conti con la violenza di Hamas

Nel dossier si legge che i gruppi armati palestinesi hanno agito con violenza sistematica e ben pianificata. “Gli attacchi nel sud di Israele del 7 ottobre 2023 – si legge – sono stati segnati da uccisioni indiscriminate, rapimenti e altri atti che violano gravemente il diritto internazionale”. Gli investigatori hanno raccolto testimonianze dirette da sopravvissuti, famiglie delle vittime e operatori umanitari presenti nei kibbutz colpiti. Nel rapporto emergono dettagli agghiaccianti: esecuzioni sommarie, incendi dolosi, sequestri di civili, tra cui bambini e anziani.

Ostaggi e corpi trattenuti: nuove accuse pesanti

Una delle parti più delicate riguarda gli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas. Amnesty denuncia che “la detenzione prolungata, i maltrattamenti e la mancata restituzione dei corpi sequestrati” sono ulteriori violazioni del diritto internazionale. “Hamas continua a commettere crimini trattenendo ostaggi in condizioni disumane”, spiega Agnès Callamard, segretaria generale dell’organizzazione. Secondo fonti israeliane, a Gaza sarebbero ancora almeno 130 le persone prigioniere, tra donne e minori. Testimoni parlano di condizioni precarie, scarsità di cibo e cure mediche negate.

Le reazioni non si fanno attendere

Il rapporto ha scatenato reazioni immediate da entrambe le parti. Il portavoce del governo israeliano, Eylon Levy, ha commentato: “Finalmente si riconosce ciò che le vittime israeliane denunciano da mesi: Hamas ha agito con una brutalità senza precedenti”. Dall’altra parte, un rappresentante di Hamas a Gaza ha respinto le accuse, definendole “strumentali” e “senza fondamento”, sostenendo che l’organizzazione “difende il popolo palestinese dall’occupazione”.

Amnesty cambia registro, colpendo Hamas

Questa posizione segna un cambio di passo per Amnesty International. Fino a oggi, l’organizzazione aveva puntato soprattutto il dito contro le operazioni militari israeliane a Gaza. Ora, invece, l’attenzione si concentra sulle responsabilità dei gruppi armati palestinesi. “Non ci sono scuse per crimini contro i civili, da qualunque parte vengano”, ha sottolineato Callamard. Nel rapporto si ricorda comunque che anche le forze israeliane sono sotto indagine per possibili abusi durante la risposta militare a Gaza.

La comunità internazionale osserva con attenzione

Il documento arriva in un momento delicato per la diplomazia mondiale. Proprio oggi, a New York, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU si è riunito per discutere della situazione a Gaza. Diversi Paesi europei chiedono indagini indipendenti sugli attacchi del 7 ottobre e sul destino degli ostaggi. Gli Stati Uniti hanno espresso “preoccupazione” per le condizioni dei prigionieri civili e chiesto il loro rilascio immediato.

Giustizia lontana, tensioni sul terreno

Sul terreno, la tensione resta altissima. A Sderot e nelle altre città israeliane colpite, i familiari degli ostaggi si sono radunati davanti alla Knesset per chiedere “verità e giustizia”. A Gaza, intanto, la popolazione civile continua a pagare il prezzo più alto del conflitto. Amnesty chiude il rapporto con un appello chiaro: tutti i responsabili, da entrambe le parti, devono rispondere davanti alla giustizia internazionale. Ma la strada per arrivarci è ancora lunga e incerta.