Napoli, 11 dicembre 2025 – Urla, sedie rovesciate, una tensione che si taglia col coltello: è finito così, ieri al tribunale di Napoli, il processo abbreviato per lo scoppio nella fabbrica abusiva di fuochi d’artificio di Ercolano, esplosa il 18 dicembre 2024. Il giudice ha condannato i datori di lavoro a 17 anni e 6 mesi di carcere e il fornitore della polvere da sparo a 4 anni. Ma la sentenza non ha calmato la rabbia dei familiari delle vittime, che hanno reagito con disperazione e proteste.
Sentenza e caos: l’aula si trasforma in un campo di battaglia
Appena il giudice ha finito di leggere la sentenza, l’aula è esplosa in un caos totale. I parenti delle vittime hanno provato ad avvicinarsi al banco dei giudici, mentre altri urlavano insulti contro i familiari degli imputati. Le forze dell’ordine, fino a quel momento in numero ridotto, sono dovute intervenire per evitare il peggio. Sedie e scrivanie sono volate, qualcuno ha avuto un malore: due donne sono state soccorse dal personale sanitario arrivato in pochi minuti dal vicino ospedale.
Fuori dall’aula, la tensione non è scesa di un grado. “Diciassette anni per tre morti non è giustizia”, hanno urlato i parenti, visibilmente scossi. Tra loro, il padre di Samuel Tafciu, il ragazzo di diciotto anni morto nell’esplosione insieme alle gemelle Sara e Aurora Esposito, ha raccontato: “Lì c’è scritto che la giustizia è uguale per tutti, ma non è così”. Kadri Tafciu ha detto di essere stato insultato dai parenti degli imputati durante il caos: “Non solo perdiamo nostro figlio, ma dobbiamo anche subire questo”, ha detto con la voce spezzata.
Dolore e rabbia: una pena troppo lieve per chi ha perso tutto
La tragedia di Ercolano ha scosso profondamente la comunità: tre giovani vite spente in un attimo, in una fabbrica dove – secondo le indagini – si lavorava senza alcuna sicurezza. I familiari delle vittime raccontano di notti insonni, di psicologi chiamati per cercare di superare il trauma. “Non possiamo più abbracciare i nostri figli”, ha detto una madre all’uscita dal tribunale, stringendo in mano una foto delle gemelle Esposito.
Gli investigatori hanno ricostruito come la fabbrica operasse in modo totalmente abusivo: niente autorizzazioni, nessuna norma di sicurezza rispettata. La polvere da sparo arrivava da un fornitore che ora dovrà scontare quattro anni di carcere. Ma per chi ha perso tutto, queste pene non bastano. “Non ci ridaranno mai i nostri ragazzi”, hanno ripetuto più volte i parenti.
La difesa: il nodo del lavoro nero e una società sotto accusa
Nel mezzo del caos, è arrivata una voce più calma, quella dell’avvocata Nicoletta Verlezza, legale della famiglia Esposito. “La reazione in aula è stata dura, ma si può capire”, ha detto ai giornalisti. Per Verlezza, il vero problema resta il lavoro nero, che in Italia spesso viene visto come una sorta di “ammortizzatore sociale”. “Anche con pene più severe – ha aggiunto – la rabbia sarebbe esplosa comunque. Sono morti di cui dobbiamo sentirci responsabili anche noi, come società”.
L’avvocata ha però mostrato soddisfazione per il risultato del processo: “La procura aveva chiesto il massimo, vent’anni. La pena è stata un po’ più bassa, ma siamo contenti perché l’accusa ha retto”. Una posizione che non tutti condividono tra i familiari, ma che racconta la complessità della vicenda.
Ercolano, una ferita ancora aperta
A quasi un anno da quella mattina di dicembre che ha sconvolto Ercolano, la ferita è ancora lì. In paese si parla ancora di quel boato, delle sirene, delle notizie confuse che arrivavano. La sentenza chiude il capitolo giudiziario, ma non cancella il dolore. “Non vogliamo vendetta – ha detto una zia delle gemelle – solo giustizia vera”.
Il processo ha messo in luce un problema ben noto nel territorio napoletano: le fabbriche abusive di fuochi d’artificio, nascoste tra le case o in capannoni abbandonati. Un rischio che molti conoscono, ma pochi denunciano davvero. Solo allora, forse, qualcosa potrà davvero cambiare.
