Pisa, 12 dicembre 2025 – I gusci delle mandorle, un tempo semplici rifiuti dell’industria agroalimentare, ora si trasformano in una risorsa preziosa per creare circuiti e sensori biodegradabili. A firmare questa svolta sono i ricercatori della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Il team guidato da Francesco Greco, dell’Istituto di Biorobotica, insieme ai colleghi dell’Istituto di Produzioni Vegetali, della Graz University of Technology e dell’Istituto Italiano di Tecnologia, ha dato nuova vita a uno scarto, aprendo la strada all’elettronica sostenibile.
Dalla mandorla al grafene: una nuova strada per l’elettronica
Il progetto, chiamato Ligash (Laser Induced Graphene from waste Almond Shells), è stato finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca e ha avuto il supporto dell’azienda siciliana Damiano Organics. L’obiettivo era semplice ma ambizioso: trovare un modo originale per usare i gusci di mandorla, un materiale che abbonda ma che finisce spesso in discarica. “Questo è un passo avanti importante verso un’elettronica più amica dell’ambiente”, spiega Greco, sottolineando come questa tecnologia possa aiutare a ridurre la quantità di microplastiche e rifiuti elettronici, problemi ambientali che stanno diventando sempre più gravi.
Laser e polveri naturali: come si crea il grafene dai gusci
Al centro della ricerca c’è il cosiddetto Laser Induced Graphene (LIG), un tipo di grafene che si ottiene passando un laser su materiali ricchi di carbonio. I ricercatori hanno studiato vari tipi di gusci, scegliendo quelli con più lignina, la sostanza chiave per ricavare il grafene. La polvere ottenuta è stata poi mescolata con chitosano, un derivato dei crostacei, per realizzare sottili pellicole biodegradabili.
“Abbiamo usato due tipi di laser, ultravioletto e infrarosso, per ‘scrivere’ il LIG”, racconta Yulia Steksova, prima autrice dello studio. Il risultato? Materiali che conducono bene l’elettricità, perfetti per fare circuiti elettronici e sensori.
Test riusciti e cosa ci aspetta
I primi esperimenti hanno dimostrato che i circuiti creati con questa tecnica funzionano bene e sono affidabili. “I materiali realizzati hanno dato ottimi risultati”, conferma Steksova. L’idea è di mettere a punto dispositivi elettronici che, una volta usati, si degradano senza lasciare tracce dannose. Un vantaggio enorme non solo per smaltire i rifiuti, ma anche in campi come la medicina e l’agricoltura, dove i sensori biodegradabili e temporanei possono fare davvero la differenza.
Un esempio concreto di economia circolare
Per Luca Sebastiani e Alessandra Francini, dell’Istituto di Produzioni Vegetali, questo progetto è un chiaro esempio di economia circolare in azione. “Trasformare uno scarto in qualcosa di utile è la sfida che ci aspetta nei prossimi anni”, dicono i due ricercatori. La collaborazione con Damiano Organics, azienda che lavora le mandorle a Torrenova (Messina), ha reso possibile testare il processo su scala industriale.
Benefici per l’ambiente, ma serve ancora lavoro
Il grande vantaggio della tecnologia LIG è la possibilità di ridurre drasticamente i rifiuti elettronici e le microplastiche generate dall’elettronica tradizionale. C’è però ancora strada da fare: la produzione su larga scala richiederà nuovi investimenti e verifiche, soprattutto per garantire performance stabili nel tempo. “Siamo solo all’inizio”, ammette Greco, “ma i risultati finora sono promettenti”.
L’elettronica verde prende forma a Pisa
Questa ricerca, partita da Pisa, apre nuove strade per l’elettronica biodegradabile, un settore che cresce a ritmo sostenuto in tutto il mondo. Se i prossimi test confermeranno le potenzialità del Laser Induced Graphene ricavato dai gusci di mandorla, l’Italia potrebbe giocare un ruolo da protagonista in questa nuova industria. Come spesso succede in campo scientifico, però, solo il tempo dirà se questa intuizione riuscirà davvero a cambiare il volto dell’elettronica, partendo da un materiale che fino a ieri finiva semplicemente in discarica.
