Phnom Penh, 13 dicembre 2025 – La Cambogia accusa la Thailandia di aver lanciato bombe sul proprio territorio, nonostante il recente annuncio di tregua fatto poche ore fa dal presidente americano Donald Trump. Il Ministero della Difesa cambogiano parla di due caccia F-16 thailandesi che, nella mattinata di oggi, avrebbero colpito vari obiettivi oltre confine, facendo salire la tensione tra i due Paesi del Sud-est asiatico.
Raid aerei non si fermano dopo la tregua
Il comunicato del ministero, pubblicato poco dopo le 10 ora locale su X (ex Twitter), è chiaro: “Il 13 dicembre 2025, l’esercito thailandese ha sganciato sette bombe con due caccia F-16 su diversi punti in territorio cambogiano”. La nota, ripresa dai media locali e internazionali, sottolinea come “gli aerei militari thailandesi continuino a bombardare” nonostante l’impegno a cessare il fuoco.
Solo ieri sera, da Washington, Trump aveva annunciato che Cambogia e Thailandia avevano trovato un accordo per fermare gli scontri lungo il confine. “Abbiamo lavorato duramente per far dialogare le parti – aveva detto il presidente – e ora entrambe si sono impegnate a interrompere le ostilità”. Ma Phnom Penh sostiene che la realtà sul terreno sia ben diversa.
Confine, tensione alle stelle
Gli scontri tra i due Paesi si sono fatti più intensi nelle ultime settimane, soprattutto nella zona di Preah Vihear, già teatro di vecchie dispute territoriali. Secondo fonti locali, nelle ultime 48 ore centinaia di civili sono stati evacuati dai villaggi più esposti ai bombardamenti. “Abbiamo sentito le esplosioni appena dopo l’alba”, racconta un abitante di O’Smach, piccolo centro vicino al confine. “La gente ha paura, molti stanno lasciando le case”.
Le autorità cambogiane hanno chiesto l’intervento immediato delle Nazioni Unite. Il portavoce del governo, Sok Eysan, ha detto che “la comunità internazionale deve muoversi subito per fermare queste violazioni”. Da Bangkok, invece, nessuna conferma ufficiale sugli attacchi aerei. Il ministero della Difesa thailandese ha ribadito che “le operazioni militari sono solo difensive”, senza fornire dettagli sulle ultime azioni.
Diplomazia sotto assedio
La crisi rischia di mettere in crisi gli equilibri regionali. L’ASEAN, l’organizzazione dei Paesi del Sud-est asiatico, ha convocato una riunione d’emergenza domani a Jakarta. “Serve una soluzione politica immediata”, ha detto il segretario generale Kao Kim Hourn. Gli Stati Uniti, che nelle settimane scorse hanno intensificato i contatti tra Phnom Penh e Bangkok, seguono con preoccupazione l’evolversi degli eventi.
Fonti diplomatiche occidentali raccontano che la mediazione americana potrebbe bloccarsi se le violenze dovessero continuare. “Non possiamo permettere che la regione cada in una nuova crisi”, ha confidato un funzionario europeo a Phnom Penh.
La popolazione civile tra paura e fuga
Nel frattempo, nelle province di Oddar Meanchey e Preah Vihear, la vita è sospesa. Le scuole restano chiuse per sicurezza, mentre le ong denunciano difficoltà a raggiungere le zone colpite. La Croce Rossa cambogiana parla di almeno 1.200 persone costrette a lasciare le proprie case nelle ultime 24 ore.
“Non sappiamo dove andare né quando potremo tornare”, racconta una donna in un centro di accoglienza improvvisato a Samraong. Le autorità locali hanno allestito tende e punti di distribuzione di acqua e cibo, ma la paura resta forte.
Una tregua lontana
Al momento non ci sono conferme indipendenti sui raid denunciati da Phnom Penh. Gli osservatori internazionali chiedono di poter accedere alle zone di confine per verificare quanto accaduto. La speranza, ripetono fonti diplomatiche, è che le parti tornino presto a parlare prima che la crisi sfugga di mano. Ma sul terreno, tra sirene e colonne di fumo all’orizzonte, la tregua sembra ancora un miraggio.
