Netanyahu accusa l’Australia di alimentare l’antisemitismo

Netanyahu accusa l'Australia di alimentare l'antisemitismo

Netanyahu accusa l'Australia di alimentare l'antisemitismo

Matteo Rigamonti

Dicembre 14, 2025

Sydney, 14 dicembre 2025 – Il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu ha puntato il dito contro l’Australia, accusandola di aver alimentato il clima di antisemitismo nel Paese. Il richiamo arriva poche ore dopo l’attacco a Sydney. In una dichiarazione riportata dal Times of Israel, Netanyahu ha ricordato di aver già scritto ad agosto al premier australiano Anthony Albanese, avvertendo sulle conseguenze delle scelte politiche di Canberra.

Netanyahu attacca il riconoscimento dello Stato palestinese

Secondo il quotidiano israeliano, Netanyahu ha sottolineato che le scelte dell’Australia, in particolare il riconoscimento di uno Stato palestinese, hanno contribuito a creare un terreno fertile per l’odio contro gli ebrei. “Le vostre decisioni incoraggiano l’odio per gli ebrei che ora si manifesta nelle vostre strade”, ha scritto Netanyahu nella lettera inviata mesi fa. Un’accusa pesante, che arriva in un momento già segnato da tensioni e preoccupazioni nella comunità ebraica australiana.

La lettera di agosto e le reazioni

La lettera, inviata lo scorso agosto, non era mai stata resa pubblica nei dettagli fino a oggi. Netanyahu ha ribadito parole forti, dicendo che “l’antisemitismo è un cancro. Si diffonde quando i leader restano in silenzio. Serve passare dalla debolezza all’azione”. Parole che hanno subito acceso il dibattito a Gerusalemme e Canberra. Fonti vicine al governo australiano hanno preferito non commentare direttamente, ma secondo la stampa locale la posizione di Albanese sul riconoscimento della Palestina non è cambiata.

L’attacco di Sydney riapre il dibattito sulla sicurezza

L’attacco a Sydney – di cui la polizia sta ancora chiarendo i dettagli – ha riacceso il tema della sicurezza delle minoranze religiose in Australia. Negli ultimi giorni, secondo dati della Community Security Group, sono aumentati episodi di intimidazione e minacce contro cittadini ebrei, soprattutto nelle grandi città come Melbourne e Sydney. La comunità ebraica australiana, circa 120mila persone secondo il censimento 2021, chiede maggior protezione e un impegno più deciso contro ogni forma di odio.

Il governo australiano tra pressioni esterne e sfide interne

Il governo di Anthony Albanese si trova ora a dover bilanciare pressioni internazionali e questioni interne. Da una parte, il riconoscimento dello Stato palestinese è stato motivato come un passo verso una soluzione diplomatica del conflitto mediorientale. Dall’altra, cresce la preoccupazione per l’aumento degli episodi di antisemitismo. “Condanniamo ogni forma di odio religioso”, ha detto nei giorni scorsi il ministro degli Esteri Penny Wong, sottolineando che la sicurezza dei cittadini ebrei è una priorità per Canberra.

Le parole di Netanyahu scuotono il dibattito internazionale

Le accuse di Netanyahu arrivano in un momento delicato nei rapporti tra Israele e i Paesi occidentali. Il premier israeliano ha spesso criticato iniziative diplomatiche che, secondo lui, rischiano di rafforzare gruppi ostili a Israele. “Solo dopo si capiscono le conseguenze”, ha detto un funzionario israeliano vicino al dossier. Intanto, la comunità internazionale resta divisa tra chi sostiene il riconoscimento formale della Palestina e chi teme ripercussioni per la sicurezza delle comunità ebraiche nel mondo.

La comunità ebraica australiana chiede protezione immediata

Nelle ultime ore, diversi rappresentanti della comunità ebraica australiana hanno chiesto incontri urgenti con le autorità federali. “Non possiamo più sentirci sicuri nelle nostre città”, ha detto Miriam Farkash, presidente del Consiglio Ebraico del Nuovo Galles del Sud. Le scuole ebraiche di Sydney hanno alzato il livello di sicurezza: ingressi presidiati, controlli agli accessi, pattuglie private davanti alle sinagoghe. Un clima teso, che si riflette anche nelle parole di un genitore fuori dalla scuola Moriah College: “Abbiamo paura a mandare i nostri figli a scuola”.

Tra diritti e sicurezza, un equilibrio sempre più fragile

Il caso australiano mette al centro il difficile equilibrio tra diritti civili, libertà religiosa e sicurezza pubblica. Mentre la politica cerca risposte, la società civile si interroga sulle responsabilità comuni. “Non basta condannare a parole”, ha detto ieri un attivista per i diritti umani intervistato dalla ABC. “Servono fatti concreti”. In questo clima di tensione, tra accuse incrociate e richieste di protezione, resta aperto il nodo su come evitare nuove crisi senza rinunciare ai valori democratici che da sempre contraddistinguono l’Australia.