Venezia, 16 dicembre 2025 – Jim Jarmusch ha spiazzato tutti alla Mostra del Cinema di Venezia, portandosi a casa il Leone d’oro con il suo nuovo film, “Father Mother Sister Brother”, che arriverà nei cinema italiani il 18 dicembre grazie a Lucky Red. Un risultato che nessuno aveva messo in conto, soprattutto in un’edizione dominata da opere forti e cariche di contenuti politici e umani, come “The Voice of Hind Rajab” della regista tunisina Kaouther Ben Hania, che racconta la storia di una bambina di Gaza intrappolata in un’auto tra i corpi dei suoi familiari.
Quando il Leone d’oro sorprende in mezzo a titoli pesanti
In gara con Jarmusch c’erano film che avevano già acceso i riflettori internazionali: “A House of Dynamite” di Kathryn Bigelow, con la sua riflessione sulla minaccia nucleare; il “Frankenstein” di Guillermo Del Toro, una produzione Netflix che ha diviso la critica; e “No Other Choice” del sudcoreano Park Chan-Wook, un dramma oscuro sulle dinamiche del lavoro e la competizione estrema. Eppure, a spuntarla è stato il minimalismo quasi freddo di Jarmusch, che ha scelto di raccontare la crisi delle relazioni familiari nel mondo di oggi.
Tre storie, tre famiglie, tre paesi
“Father Mother Sister Brother” è diviso in tre episodi ambientati tra Stati Uniti, Irlanda e Francia. Nel primo, “Father”, Adam Driver e Mayim Bialik sono due fratelli che vanno a trovare il padre eccentrico (Tom Waits) nel Nord-Est americano. Poche parole, lunghi silenzi e un muro emotivo quasi impossibile da abbattere: “Un rapporto solo tristemente biologico”, ha commentato un critico durante la proiezione.
Il secondo episodio, “Mother”, si sposta a Dublino. Charlotte Rampling è una scrittrice di successo che incontra le sue due figlie (Cate Blanchett e Vicky Krieps) per il consueto appuntamento annuale. Anche qui, la freddezza prende il sopravvento: le tre donne sembrano estranee, incapaci di superare vecchi rancori.
Solo nel terzo episodio, ambientato a Parigi, si intravede una possibile svolta. I gemelli Billy (Luka Sabbat) e Skye (Indya Moore) si ritrovano nella casa dei genitori appena scomparsi. Tra oggetti dimenticati e stanze vuote, cercano di ricostruire un legame attraverso i ricordi condivisi.
Il minimalismo che parla di distanze
Jarmusch ha raccontato al Lido come è nato il progetto: “Non so nemmeno da dove mi sia venuta l’idea, ma per me è sempre stato così. Ho scritto tutto in tre settimane. Vedo questo film come un’opera unica, anche se divisa in tre parti”. A chi ha criticato il suo stile essenziale, il regista americano ha risposto così: “Quando faccio un film con una trama semplice, mi stanco molto di più. Curare i dettagli è più impegnativo che dirigere un gruppo di zombie scatenati”.
La scelta di raccontare con pochi elementi, dialoghi scarni e tanta attenzione ai piccoli dettagli sembra aver centrato il bersaglio. Rende bene la distanza emotiva che spesso segna le famiglie di oggi. Un tema che ha fatto breccia nella giuria veneziana.
Un verdetto che fa discutere
La vittoria di Jarmusch ha diviso critici e addetti ai lavori. C’è chi ha parlato di “scelta coraggiosa” e chi ha sottolineato come il film riesca a cogliere “la fredda leggerezza e la scarsa empatia delle famiglie contemporanee”. In sala stampa qualcuno ha sussurrato che “forse era il momento giusto per premiare un film così”.
Nel frattempo, il pubblico aspetta l’arrivo in sala il 18 dicembre, curioso di scoprire un’opera che – tra silenzi e distanze – racconta senza fronzoli la complessità dei rapporti familiari oggi. Jarmusch, ancora una volta, ha seguito una strada diversa. E stavolta il Leone d’oro è andato proprio lì.
