Cagliari, 16 dicembre 2025 – La Corte costituzionale ha smontato una parte centrale della legge regionale sarda n. 20 del 2024, quella che regolava le aree idonee e non idonee per gli impianti da energie rinnovabili. La sentenza, arrivata ieri a Roma, segna un duro colpo per la normativa voluta dalla Regione Sardegna, la prima in Italia a varare una disciplina specifica dopo i decreti ministeriali, poi rivisti dal governo centrale.
Consulta: no al divieto totale sulle aree non idonee
La Consulta ha accolto gran parte delle obiezioni mosse dal governo Meloni, che aveva impugnato la legge. Al centro del contendere c’è il divieto assoluto previsto dalla norma sarda: dichiarare “non idonea” un’area e vietare senza eccezioni l’installazione di impianti Fer (Fonti di energia rinnovabile). La Corte ha chiarito che “la qualifica di non idoneità non può tradursi in un divieto a priori”. Un divieto totale, spiegano i giudici, bloccherebbe l’accesso agli “iter autorizzativi semplificati”, strumenti pensati dal legislatore statale proprio per accelerare la diffusione delle rinnovabili nelle zone ritenute adatte.
Così è stato cancellato l’articolo 1, comma 5, della legge regionale. Secondo fonti del Ministero dell’Ambiente, questa decisione “rimette al centro l’equilibrio tra tutela del territorio e gli obiettivi nazionali sulle energie pulite”.
Retroattività della legge: un altro nodo spinoso
Altro punto critico: la retroattività della norma. La legge prevedeva che gli impianti già autorizzati nelle aree poi dichiarate non idonee perdessero validità, salvo casi in cui non fosse stata modificata in modo irreversibile la situazione sul territorio. In sostanza, chi aveva già il via libera rischiava di vedersi cancellare tutto da un momento all’altro.
La Corte ha bocciato questa idea. Secondo i giudici, non si possono annullare “tutti gli atti autorizzativi già rilasciati” senza motivazioni tecniche o scientifiche. Sarebbe una violazione del “legittimo affidamento” di chi ha seguito le procedure, oltre a ledere la “certezza del diritto”. In pratica, chi ha investito tempo e denaro deve poter contare sulle autorizzazioni ottenute.
Regione e operatori: reazioni a caldo
A Cagliari la notizia è arrivata nel primo pomeriggio. Il presidente della Regione, Alessandra Zedda, ha subito convocato una riunione d’emergenza con gli assessori. “Prendiamo atto della sentenza – ha detto Zedda – ma ribadiamo l’urgenza di una regolamentazione chiara per proteggere il paesaggio e le comunità”. Più netta la risposta degli operatori: “La sentenza ristabilisce un principio fondamentale – ha commentato Marco Piras, presidente di Sardegna Rinnovabile – senza regole certe gli investimenti si fermano”.
Dal governo nazionale, invece, è arrivato un plauso per la decisione della Corte. Il sottosegretario all’Ambiente, Claudio Deiana, ha sottolineato che “la transizione energetica non può essere bloccata da norme locali che superano le competenze regionali”.
Un campanello d’allarme per altre regioni
La vicenda sarda non è un caso isolato. Negli ultimi mesi, diverse regioni hanno cercato di introdurre regole più rigide sugli impianti da fonti rinnovabili, spesso in contrasto con gli obiettivi del Piano nazionale integrato energia e clima (PNIEC). Ora la sentenza della Consulta fa da precedente e potrebbe influenzare anche altre realtà.
Secondo i dati del GSE (Gestore dei Servizi Energetici), in Sardegna ci sono oltre 1.200 MW di potenza installata da fonti rinnovabili. Gli operatori temevano un blocco degli investimenti a causa del caos normativo. Ora, dicono fonti del settore, “si apre una nuova fase: servirà dialogo tra istituzioni e imprese per trovare un equilibrio tra sviluppo e tutela”.
Nei prossimi mesi sarà decisivo capire se la Regione riscriverà la legge o se punterà a un ricorso a Bruxelles. Nel frattempo, la partita sulle energie rinnovabili resta aperta. E lo scontro tra Stato e autonomie locali si fa sempre più acceso.
