L’imam di Torino Mohamed Shahin: la sua liberazione e il suo impatto sulla comunità

L'imam di Torino Mohamed Shahin: la sua liberazione e il suo impatto sulla comunità

L'imam di Torino Mohamed Shahin: la sua liberazione e il suo impatto sulla comunità

Matteo Rigamonti

Dicembre 16, 2025

Torino, 16 dicembre 2025 – Mohamed Shahin, l’imam torinese che il Ministero dell’Interno aveva cercato di espellere per motivi di sicurezza, è stato rilasciato dal Centro di permanenza per il rimpatrio di Caltanissetta. La decisione arriva dalla Corte d’Appello di Torino, che ha sorpreso anche lo stesso religioso. “Sono libero? Non me l’aspettavo”, ha detto Shahin all’agente che gli ha comunicato la scarcerazione, secondo fonti vicine alla famiglia. L’uomo, 49 anni, era stato prelevato a casa il 24 novembre, portato in questura e poi trasferito in Sicilia. Ora potrà finalmente tornare a Torino, dove lo aspettano la moglie Asmaa e i due figli, di 9 e 12 anni.

Mohamed Shahin, vent’anni tra fede e comunità a Torino

Shahin, egiziano di origine, vive in Italia da più di vent’anni. A Torino ha messo radici e guidato la moschea Omar Ibn Al Khattab di via Saluzzo, nel cuore di San Salvario. “Torino è casa, l’unico posto dove mi sento davvero a casa”, ha confidato qualche giorno fa a La Stampa. È un volto noto tra i musulmani della città, ma anche tra chi si occupa di dialogo interreligioso. “Ho sempre lavorato per la pace e il dialogo”, ha ripetuto più volte attraverso il suo avvocato, Fairus Ahmed Jama. In ventuno anni, sottolinea lui, non ha mai infranto la legge italiana.

Ma la sua posizione politica lo ha esposto a rischi. “Se tornassi in Egitto, come oppositore del presidente Al-Sisi, rischierei la pena di morte”, ha spiegato. Una paura condivisa da famiglia e legali.

Le parole sul 7 ottobre e la risposta delle autorità

Tutto è partito da una sua dichiarazione durante una manifestazione pro Palestina a Torino, il 9 ottobre scorso. Shahin aveva detto: “Sono d’accordo con quello che è successo il 7 ottobre”, parlando dell’attacco di Hamas in Israele. Il giorno dopo aveva chiarito: “Condanno sempre la violenza, ma il 7 ottobre è stata una reazione a anni di occupazione”. Parole che hanno fatto scalpore e spinto le autorità a definirlo “una minaccia concreta, attuale e grave per la sicurezza dello Stato”.

Nel novembre 2023, il Ministero dell’Interno aveva già negato la sua richiesta di cittadinanza italiana, citando motivi di sicurezza. Shahin ha sempre sostenuto di essere stato frainteso: “Non si può parlare solo del 7 ottobre, è il risultato di decenni di conflitto”, ha spiegato in più occasioni.

La liberazione: perché la Corte ha cambiato rotta

La svolta è arrivata con la Corte d’Appello di Torino, che ha accolto il ricorso dei suoi legali. Nell’ordinanza si legge che sono emerse “nuove informazioni che mettono in dubbio la legittimità” del suo trattenimento. Il procedimento penale sulle frasi del 7 ottobre era già stato archiviato dalla Procura: quelle parole, si dice, sono “espressione di pensiero che non configurano un reato”.

Il giudice ha sottolineato che, al di là delle opinioni morali o etiche, “in uno Stato di diritto” queste dichiarazioni non bastano per giudicarlo socialmente pericoloso. Sulla denuncia per blocco stradale durante una protesta sulla tangenziale, la condotta di Shahin non avrebbe avuto “alcun elemento di violenza”. E i suoi contatti con persone indagate per terrorismo sono stati definiti “isolati e molto vecchi”.

A Torino, tra sollievo e attesa

La liberazione ha portato sollievo a San Salvario. Don Marco Durando, parroco della zona, ha commentato: “È un momento di gioia. Qui nella diversità si sta uniti, ci si sostiene”. La moglie Asmaa, il 10 dicembre, giorno del compleanno di Shahin, gli aveva scritto una lettera piena di fiducia nella giustizia italiana e speranza di rivederlo presto.

Al momento Shahin non può essere espulso né portato alla frontiera: il tribunale di Caltanissetta ha sospeso il rigetto della sua domanda di asilo politico. Il Ministero dell’Interno ha annunciato il ricorso in Cassazione.

Sicurezza e diritti: un caso che fa discutere

Il caso di Mohamed Shahin riapre il confronto tra sicurezza nazionale e libertà di espressione. L’imam resta sotto la lente delle autorità, ma per la Corte d’Appello è “integrato e inserito nel tessuto sociale del Paese” e “incensurato”. Lui guarda avanti: “Sono felice di poter passare le prossime feste in famiglia”, ha detto ai suoi avvocati. E a Torino – dove tutto è cominciato – lo aspettano in tanti.