Francesca Ghio: la coraggiosa testimonianza di un abuso subito a 12 anni

Francesca Ghio: la coraggiosa testimonianza di un abuso subito a 12 anni

Francesca Ghio: la coraggiosa testimonianza di un abuso subito a 12 anni

Matteo Rigamonti

Dicembre 19, 2025

Genova, 19 dicembre 2025 – Francesca Ghio, vicepresidente del Consiglio comunale di Genova e capogruppo di Avs, ha deciso di rompere il silenzio e raccontare in tribunale la violenza subita a soli dodici anni. Lo ha fatto il 26 novembre scorso, davanti al giudice, indicando senza esitazioni chi, tra il 2005 e il 2009, l’avrebbe abusata. Una scelta, ha spiegato la stessa Ghio, che non nasce da un desiderio di vendetta, ma da una precisa volontà: «È un gesto politico per tutte le donne che subiscono violenza e non denunciano per paura di non essere credute».

Davanti al giudice: la forza di una testimonianza

Durante l’udienza con il gip Matteo Buffoni, chiamata a rispondere alla richiesta di archiviazione per prescrizione avanzata dalla procura, Ghio ha raccontato nel dettaglio cosa è successo. Ha descritto dove e quando sono avvenute le violenze, come si sono svolte e chi avrebbe potuto essere testimone. «Ho cercato di trattenere le lacrime. Alla fine non ce l’ho fatta e sono scoppiata a piangere», ha confessato la vicepresidente del Consiglio comunale. Un pianto che lei stessa ha definito “liberatorio”, non solo per sé, ma per tutte le donne che hanno vissuto esperienze simili.

La giustizia, però, si è scontrata con la prescrizione: quei reati sono ormai troppo vecchi per essere perseguiti. Ma per Ghio era fondamentale fare quel nome. «Volevo essere un esempio per tutte le donne che hanno passato la stessa cosa», ha spiegato. La sua testimonianza, raccolta in aula e rilanciata sui social, ha avuto subito un forte impatto.

Solidarietà e critiche: il prezzo del coraggio

Dopo aver reso pubblica la sua storia, Francesca Ghio ha ricevuto una valanga di messaggi di solidarietà. Molte donne l’hanno ringraziata per aver avuto il coraggio di parlare. «In tante mi hanno detto che non hanno mai trovato la forza di denunciare, anche dopo decenni», ha raccontato. Ma esporsi così ha portato anche attacchi duri: «Le solite accuse di aver inventato tutto», ha ammesso senza peli sulla lingua.

Nonostante tutto, Ghio non si è mai pentita della sua scelta. «Sono contenta di aver fatto harakiri», dice con un’amara ironia. Per lei, l’obiettivo è chiaro: cambiare un sistema che spesso abbandona le vittime. «Il problema è un sistema dominato dalla paura e dall’umiliazione. Per questo oltre il 70% delle donne vittime di violenza non denuncia mai», ha scritto in un post dopo aver parlato con la premier Giorgia Meloni.

Le ferite che restano e la forza di andare avanti

Quel trauma vissuto da ragazzina ha lasciato segni profondi nella vita di Francesca Ghio. «Questi episodi ti segnano, emotivamente e psicologicamente», ha ammesso. Da giovane era spesso arrabbiata, insicura. Gli amici hanno dovuto affrontare i suoi momenti difficili. Solo col tempo, dice oggi, è riuscita a guardare avanti: «Ora cammino a testa alta, sapendo di non essere sola».

La sua storia è parte di un fenomeno più grande: tante donne che scelgono di rompere il silenzio nonostante tutto. Secondo l’Istat, oltre il 70% delle vittime di violenza sessuale in Italia non denuncia mai. Un dato pesante, che spiega la scelta di Ghio: «Se vogliamo giustizia e strumenti migliori, come l’educazione ai sentimenti nelle scuole, possiamo iniziare a cambiare le cose».

Non solo un caso personale: un segnale per tutti

Per Ghio, il nome dell’aggressore è importante, ma non è tutto. «È come indicare la luna e guardare il dito», ripete spesso. Il vero nodo è superare la paura e l’umiliazione che ancora oggi bloccano tante donne dal denunciare. Il suo gesto – fare nome e cognome davanti al giudice – vuole essere un segnale chiaro: solo così si può sperare in un cambiamento vero.

Intanto, la vicenda giudiziaria si è conclusa con l’archiviazione per prescrizione. Ma il dibattito nato dalla sua testimonianza pubblica continua a Genova e non solo. Ed è proprio da questa storia personale, diventata collettiva, che riparte la discussione su come aiutare davvero chi trova il coraggio di parlare.