Firenze, 27 dicembre 2025 – La Corte d’Appello di Firenze ha detto no alla richiesta di una donna che, dopo la morte del marito, voleva usare il suo seme crioconservato per provare a diventare madre. La sentenza depositata ieri conferma il divieto di procreazione medicalmente assistita dopo la morte in Italia, anche se il marito aveva lasciato un testamento dove autorizzava esplicitamente questa possibilità.
Il caso: la donna, il marito e il testamento che non basta
Tutto è iniziato nel 2021. La donna, fiorentina, 39 anni e insegnante, si era rivolta al Tribunale per poter prelevare il campione di liquido seminale congelato dal marito. L’uomo, 41 anni, aveva affrontato un tumore e, prima delle terapie, aveva deciso di crioconservare il seme, preoccupato di perdere la fertilità o la vita stessa. Pochi mesi dopo, è venuto a mancare. Nel suo testamento olografo, scritto a mano e depositato da un notaio a Firenze, aveva lasciato scritto chiaro: “Autorizzo mia moglie a usare il mio seme per realizzare il nostro sogno di avere un bambino anche se io non ci fossi più”.
La sentenza: “Contro l’ordine pubblico, la legge non lo permette”
Nonostante la volontà del marito, la Corte d’Appello ha ribadito quanto già stabilito in primo grado: la legge italiana vieta la procreazione assistita se uno dei due è morto. “La disposizione del testamento – si legge nelle motivazioni – è nulla perché va contro l’ordine pubblico”. La legge 40/2004, infatti, autorizza la Pma solo a coppie dove entrambi i partner sono vivi al momento della procedura.
Il nodo della sentenza sta proprio qui: consentire alla donna di avere il seme significherebbe aggirare la legge. “Permetterlo – spiegano i giudici – potrebbe spingere a ricorrere a fecondazioni in Paesi dove la Pma post mortem è legale”. Un rischio che la Corte ha definito “inaccettabile”.
Materiale biologico: niente usi diversi senza il consenso chiaro
Il provvedimento sottolinea anche che il seme congelato non può essere usato per altri scopi, come la ricerca o la conservazione simbolica, senza un consenso preciso del defunto per scopi diversi dalla procreazione. “Il deposito del seme era pensato solo per avere un figlio”, hanno precisato i giudici. Qualsiasi altro uso sarebbe senza basi legali.
La Corte ha ordinato di distruggere il campione, a meno che la donna non decida di fare ricorso in Cassazione. Al momento, il suo avvocato non ha ancora deciso se proseguire la battaglia legale.
Italia, un Paese tra i più rigidi sulla Pma post mortem
La sentenza riporta al centro un tema che fa discutere da tempo. In Italia, la legge 40/2004 regola la procreazione assistita e vieta la fecondazione dopo la morte. In altri Paesi europei, come Spagna e Regno Unito, le regole sono più aperte e permettono l’uso del materiale genetico del partner deceduto, con alcune condizioni.
L’avvocato della donna ha commentato che “la legge italiana non tiene conto dei cambiamenti sociali e delle nuove possibilità della scienza”. Ma per i giudici fiorentini, rispettare la legge e l’ordine pubblico è fondamentale. “Non possiamo sostituirci al Parlamento”, ha detto uno dei magistrati.
Le reazioni: tra dolore e riflessioni sul futuro
Il caso ha acceso reazioni diverse. Alcuni esperti di bioetica ricordano l’importanza di tutelare i diritti del bambino che nascerà e di garantire un consenso informato. Altri invece puntano il dito sulla sofferenza delle persone coinvolte, chiedendo di rivedere le regole attuali.
“Questa sentenza pesa come un macigno”, ha raccontato una conoscente della donna, incontrata ieri davanti al Tribunale di Firenze. “Per lei era l’ultima possibilità di avere un figlio col marito che amava”. Solo così si capisce quanto sia difficile bilanciare la legge con i desideri personali.
Per ora, il campione resterà sotto sequestro fino a che non si concluderanno tutti i gradi di giudizio. Ma resta aperta la domanda: in Italia c’è davvero spazio per i nuovi modelli di famiglia e per le scelte individuali?
