Beirut, 28 dicembre 2025 – Il segretario generale di Hezbollah, Naim Qassem, ha respinto con decisione la richiesta di disarmo arrivata nelle ultime settimane, definendola “illogica” finché continueranno gli attacchi israeliani sul suolo libanese. La presa di posizione è arrivata ieri sera, poco dopo le 20, in un discorso trasmesso dall’emittente Al-Manar e ripreso dal quotidiano L’Orient-Le Jour. Qassem ha parlato da Beirut, davanti a un gruppo ristretto di dirigenti del movimento sciita, in un clima di tensione sempre più alta lungo la linea blu che separa Libano e Israele.
Hezbollah: “Disarmo? Impossibile finché Israele attacca”
Nel suo intervento, Qassem ha detto chiaramente che la richiesta di deporre le armi fa parte di un piano più grande, pensato – secondo lui – per “ritirare la potenza militare” del movimento, “indebolire il potere economico e sociale” e “creare divisioni tra il Movimento Amal e Hezbollah”. Ha aggiunto che l’intento è anche “seminare discordia tra l’esercito, la resistenza e il popolo”, in modo da mantenere “l’occupazione del Libano meridionale” e permettere “attacchi in tutto il Paese senza alcun controllo”.
Parole forti, che arrivano in un momento delicato per il Libano. Da settimane, infatti, si susseguono scontri di artiglieria e raid aerei tra l’esercito israeliano e le milizie sciite nel sud del Paese. Fonti locali parlano di almeno 15 episodi di fuoco incrociato negli ultimi dieci giorni, soprattutto vicino a Maroun al-Ras e Bint Jbeil. La popolazione civile, soprattutto nei villaggi di confine, vive tra sirene d’allarme e blackout improvvisi.
Le condizioni di Hezbollah: “Prima la fine delle ostilità”
Qassem ha chiarito che qualsiasi discussione sul disarmo potrà partire solo dopo una serie di passi concreti da parte di Israele. “Israele deve fermare le aggressioni – via terra, mare e aria – e smettere con le attività di spionaggio”, ha detto il segretario generale. Solo dopo, ha aggiunto, si potrà parlare di altre fasi. Tra le richieste ci sono anche il ritiro completo delle truppe israeliane dal Libano, la liberazione dei prigionieri e l’avvio della ricostruzione, “a partire dal Sud”.
“Questa è l’attuazione dell’accordo”, ha scandito Qassem. “Solo allora si potrà venire a chiederci di discutere altri passi”. Un messaggio diretto non solo a Tel Aviv, ma anche agli attori internazionali che in queste settimane hanno intensificato i contatti per evitare una nuova escalation.
Tensione al confine sud: il governo libanese nel mezzo
Il governo di Beirut, guidato dal premier Najib Mikati, si trova stretto tra le pressioni internazionali – soprattutto da Stati Uniti e Francia – e la necessità di mantenere un equilibrio interno tra le varie fazioni politiche. Secondo fonti vicine al ministero della Difesa libanese, nelle ultime 48 ore si sono tenuti colloqui con i vertici dell’UNIFIL, la missione Onu presente nel sud del Libano dal 2006.
Un funzionario del ministero degli Esteri ha spiegato ad alanews.it che “la priorità resta proteggere i civili e difendere la sovranità nazionale”. Ma il nodo del disarmo delle milizie rimane irrisolto. La risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu chiede il disarmo di tutti i gruppi armati non statali in Libano, ma finora è rimasta solo sulla carta.
La comunità internazionale chiama alla calma
Nelle ultime ore, sia Washington sia Parigi hanno rilanciato l’appello a una de-escalation immediata. Il portavoce del Dipartimento di Stato americano ha invitato tutte le parti a “evitare provocazioni” e a rispettare gli accordi internazionali. Anche il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha espresso “profonda preoccupazione” per la situazione al confine sud del Libano.
Intanto, nei quartieri meridionali di Beirut – storica roccaforte di Hezbollah – si respira una calma di facciata. Tra i caffè aperti a tarda sera di Haret Hreik, si discute animatamente delle parole di Qassem. “Non possiamo abbassare la guardia finché gli attacchi continuano”, confida un giovane militante incontrato poco dopo le 22 davanti alla moschea al-Rida.
La crisi resta aperta. E il nodo del disarmo continua a dividere non solo la politica libanese, ma anche la comunità internazionale.
