Sacrifici e sangue: le intercettazioni rivelano la rete di Mohammad Hannoun per Hamas

Sacrifici e sangue: le intercettazioni rivelano la rete di Mohammad Hannoun per Hamas

Sacrifici e sangue: le intercettazioni rivelano la rete di Mohammad Hannoun per Hamas

Matteo Rigamonti

Dicembre 28, 2025

Genova, 28 dicembre 2025 – Mohammad Hannoun e altre otto persone sono state arrestate ieri mattina in diverse città italiane, nell’ambito di una vasta operazione antiterrorismo guidata dalla Procura di Genova. Secondo gli investigatori, il gruppo gestiva un sistema di raccolta fondi che finivano nelle casse di Hamas, l’organizzazione palestinese inserita nella lista nera dell’Unione Europea. Le carte dell’ordinanza firmata dal gip Silvia Carpanini, rese pubbliche oggi, descrivono una rete ben organizzata e consapevole: “Noi ci sacrifichiamo con i soldi e con il tempo, ma loro con il sangue”, si sente dire proprio da Hannoun in una intercettazione chiave.

Soldi a Hamas, le intercettazioni che inchiodano

Le indagini condotte da Guardia di Finanza e Polizia hanno seguito ogni movimento di denaro. Dai documenti emerge che almeno il 71 per cento delle uscite delle associazioni coinvolte andava direttamente alla cosiddetta “Mugawama”, cioè la resistenza armata di Hamas. Non solo: parte dei soldi serviva a coprire “le esigenze operative dell’ala militare” e a sostenere le famiglie dei “martiri, dei feriti e dei prigionieri”. Queste espressioni tornano spesso nelle conversazioni captate dagli investigatori. In una intercettazione, Hannoun ammette chiaramente: “La maggior parte dei soldi vanno… alla Mugawama”. Per gli inquirenti è la conferma che il gruppo sapeva esattamente dove finivano quei soldi.

Incontri con i vertici di Hamas, documentati

Tra gli elementi raccolti dalla procura ci sono anche i contatti diretti tra Hannoun e i vertici di Hamas. In particolare, foto e intercettazioni documentano gli incontri con Ismail Haniyeh, il leader ucciso da un raid israeliano nel luglio 2024 mentre si trovava in Iran. Dopo la morte di Haniyeh, Hannoun ha pubblicamente rivendicato quel rapporto: “L’ho visto l’ultima volta un mese prima”, ha detto in un video diffuso sui social, seguito anche nei locali dell’associazione. Già lo scorso 30 aprile, parlando in auto con la moglie e la figlia, Hannoun aveva confidato: “Mi hanno detto che vogliono vedermi, andrò a vedere Ismail”, usando il nome falso “Abu al Abed”.

La paura del blitz e la corsa a cancellare le prove

Negli ultimi giorni prima degli arresti, tra gli indagati cresceva la tensione. Le intercettazioni mostrano una vera corsa contro il tempo per eliminare ogni traccia. “Se ad Abu Rashad gli hanno dato un anno, a noi ci daranno sei anni”, si sente in una conversazione intercettata. Le istruzioni erano chiare: cancellare archivi, trasferire dati su chiavette, nascondere tutto a persone fidate. In un passaggio, uno degli indagati dice: “Sto pensando anche di rompere il pc dell’ufficio”. Un altro aggiunge: “Non lasciare nulla”. Hannoun, ricostruiscono gli investigatori, aveva già pianificato di trasferire dati e conti all’estero, soprattutto in Turchia. Passaporto pronto e documenti in ordine. Solo dopo è scattato il blitz.

Reazioni dal mondo e in Italia

L’operazione ha fatto rumore anche oltre i confini. Le autorità israeliane hanno espresso soddisfazione per l’intervento delle forze dell’ordine italiane. In Italia, invece, la comunità palestinese si è detta preoccupata: “Non criminalizziamo la solidarietà”, ha detto un portavoce a Genova nel pomeriggio. Ma, come sottolineano fonti della procura, le prove mostrano una consapevolezza diffusa all’interno della rete. Le indagini proseguono per capire se ci siano altri collegamenti internazionali e altre vie di finanziamento.

Un’inchiesta che scuote il Paese

L’arresto di Mohammad Hannoun e degli altri otto coinvolti apre uno squarcio su una realtà complessa e spesso nascosta. La raccolta fondi per la causa palestinese, spiegano gli investigatori, può diventare un canale diretto per finanziare il terrorismo. Un tema che, da Genova a Roma, resta al centro dell’attenzione delle istituzioni. “Non possiamo permettere che il nostro territorio diventi base per attività criminali”, ha commentato una fonte del Viminale. Una vicenda destinata a far parlare a lungo.