Bonn, 28 dicembre 2025 – Per la prima volta, un team internazionale di ricercatori ha potuto osservare direttamente nel cervello di topi vivi gli interruttori molecolari che regolano l’intensità dei segnali elettrici tra i neuroni. Il risultato, pubblicato su Nature Neuroscience, arriva da uno studio guidato da Jan Gründemann del Centro tedesco per le malattie neurodegenerative (DZNE), con la collaborazione di esperti provenienti da Svizzera, Italia e Austria. Una scoperta che, secondo gli autori, apre nuove strade per capire meglio funzioni come memoria e apprendimento, offrendo anche nuovi strumenti per studiare l’Alzheimer.
Un salto in avanti: gli interruttori molecolari nel cervello vivo
Finora, questi meccanismi molecolari erano stati visti solo in colture cellulari o campioni di tessuto cerebrale. Ora, grazie a una microscopia avanzata, è stato possibile seguirli mentre funzionano all’interno di un cervello vivo. “Abbiamo visto questi interruttori modulare la trasmissione dei segnali proprio mentre i topi affrontavano test cognitivi”, spiega Gründemann. È un dettaglio importante: poter osservare tutto in tempo reale, durante l’attività cerebrale, permette di collegare i cambiamenti molecolari ai comportamenti.
Come viaggiano i segnali tra i neuroni
Nel cervello, i segnali passano da un neurone all’altro attraverso le sinapsi, ma non è tutto. “È la parte iniziale dell’assone a decidere se un neurone si attiva e quanto forte sarà la sua risposta”, chiarisce Gründemann. In pratica, sia le sinapsi sia questo tratto dell’assone – una specie di ‘centralina’ all’inizio del filo che trasmette l’impulso elettrico – giocano un ruolo chiave nel determinare forza e qualità della comunicazione tra neuroni. Lo studio mostra che entrambi influenzano la formazione della memoria.
Tecniche all’avanguardia e lavoro di squadra internazionale
La ricerca si è basata su strumenti di microscopia ottica di ultima generazione, in grado di mostrare i segnali elettrici nel cervello senza danneggiare i tessuti. I topi sono stati messi alla prova con test cognitivi – labirinti, riconoscimento di oggetti, memoria spaziale – mentre i ricercatori monitoravano in tempo reale l’attività neuronale. “Abbiamo visto come la regolazione degli interruttori molecolari cambiava a seconda del compito”, racconta uno degli autori italiani, che ha preferito restare anonimo.
Una scoperta che guarda all’Alzheimer
Gli scienziati sono convinti che questa scoperta possa dare una mano nello studio delle malattie neurodegenerative, soprattutto l’Alzheimer. “Capire come il cervello regola la forza dei segnali tra neuroni ci aiuta a capire perché certi processi si bloccano nelle malattie”, osserva Gründemann. In futuro, si potranno studiare i cambiamenti di questi interruttori molecolari nei pazienti con Alzheimer o altre forme di demenza.
Cosa ci aspetta: i prossimi passi
Il gruppo internazionale vuole ora allargare le ricerche ad altri modelli animali e, in prospettiva, anche a campioni umani. L’obiettivo è chiaro: capire meglio come funziona la plasticità cerebrale e trovare possibili bersagli per terapie nuove. “Siamo solo all’inizio”, ammette Gründemann. “Ma vedere questi processi nel cervello vivo cambia completamente il modo di studiare la mente”.
La comunità scientifica ha accolto con interesse il lavoro. Fonti accademiche italiane sottolineano che intervenire su questi interruttori potrebbe aprire la strada a nuove strategie per rallentare o prevenire il declino cognitivo. Per ora, però, servono ancora molti studi per trasformare queste scoperte in cure concrete.
Nel laboratorio di Bonn, intanto, si continua a lavorare. I ricercatori seguono i monitor, annotano dati, discutono ipotesi. Ed è proprio in quei momenti, tra una prova e l’altra, che si fa strada la consapevolezza: ogni piccolo passo nella comprensione del cervello può fare la differenza nella lotta contro le malattie che lo colpiscono.
