Bolzano, 30 dicembre 2025 – Ötzi, la famosa mummia dei ghiacci ritrovata nel 1991 sulle Alpi al confine tra Italia e Austria, si svela ancora una volta. Un nuovo studio, pubblicato su bioRxiv, ha trovato nel suo materiale genetico tracce del papillomavirus umano Hpv16, un ceppo legato a diversi tumori genitali e alla gola. A renderlo noto sono stati ieri i biologi dell’Università federale di San Paolo in Brasile. Questa scoperta potrebbe cambiare la nostra idea sull’evoluzione di questi virus.
Il papillomavirus già infettava l’uomo preistorico
La ricerca, guidata dalla bioinformatica Juliana Yazigi, ha analizzato i resti di Ötzi e di un altro uomo antico, chiamato Ust-Ishim, vissuto circa 45.000 anni fa in Siberia occidentale. In entrambi i casi sono state trovate tracce genetiche riconducibili all’Hpv16. “Questa è la prova più antica finora dell’Hpv”, ha spiegato Yazigi. La presenza del virus in due individui distanti nel tempo di circa 40.000 anni e a 5.000 chilometri di distanza fa pensare a una sua diffusione molto antica tra gli uomini.
I ricercatori hanno notato che questa variante dell’Hpv somiglia molto a quella individuata in uno studio precedente nei Neanderthal. Ma la sua presenza sia in Ötzi che in Ust-Ishim suggerisce che sia stato l’Homo sapiens a trasmetterlo ai Neanderthal, e non il contrario. Se confermato, sarebbe un dettaglio importante per capire le relazioni tra le due specie.
La lunga lista delle malattie di Ötzi
Da tempo gli studiosi indagano la salute di Ötzi. Oltre a fratture, parassiti intestinali, carie e colesterolo alto, ora si aggiunge anche l’infezione da Hpv16. In passato si era già scoperto che la mummia era intollerante al lattosio. Un quadro complesso, che racconta le difficoltà di vivere sulle Alpi più di 5.000 anni fa.
I ricercatori brasiliani hanno usato tecniche di sequenziamento molto sofisticate per estrarre le tracce del virus dal Dna dei tessuti di Ötzi. “L’Homo sapiens convive con questi virus da sempre”, ha detto Ville Pimenoff, genetista dell’Università di Oulu (Finlandia), non coinvolto nello studio, ma intervistato dal sito Science.
Virus antichi, nuove piste
Se questi risultati saranno confermati dopo la revisione tra pari – lo studio non è ancora uscito su una rivista scientifica – si aprirà una nuova pagina sulla storia dei virus oncogeni nell’uomo. La convivenza tra Homo sapiens e papillomavirus sarebbe molto più antica di quanto si pensasse finora.
Gli autori sottolineano che trovare l’Hpv16 in persone vissute in tempi e luoghi così lontani indica una lunga storia condivisa tra virus e uomo. “Solo così potremo capire come questi virus abbiano influenzato la nostra evoluzione”, ha aggiunto Yazigi.
Cosa succederà adesso
Per ora sono dati ancora da confermare. Serviranno altre analisi e il confronto con altri resti antichi per capire davvero quanto fosse diffuso l’Hpv16 nell’uomo preistorico. Intanto, i ricercatori brasiliani hanno già in programma nuovi studi su mummie e fossili da tutto il mondo.
Nel frattempo, Ötzi continua ad affascinare sia gli studiosi che il pubblico. Ogni nuova scoperta – dalle sue abitudini alimentari ai virus che lo hanno colpito – ci aiuta a immaginare meglio com’era la vita nell’Europa del Neolitico. E, come spesso accade in archeologia, ogni risposta apre la strada a nuove domande.
