Roma, 30 dicembre 2025 – Il Governo italiano sta valutando in queste settimane tutte le opzioni possibili per garantire la sicurezza energetica nazionale, compresa l’ipotesi di tenere “in riserva” alcuni impianti a carbone. A spiegarlo è stato il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, durante un’informativa al Consiglio dei ministri sulle centrali Enel di Brindisi e Civitavecchia. Dietro questa scelta c’è la necessità di assicurare continuità nel rifornimento elettrico in un periodo segnato da forti incertezze geopolitiche.
Centrali a carbone, tra stop e scelte di emergenza
Pichetto ha ricordato che il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC) prevede di abbandonare la produzione da carbone entro il 31 dicembre 2025. Una data che rispecchia gli impegni presi dall’Italia con l’Europa e la strategia di decarbonizzazione perseguita negli ultimi anni. Però, ha sottolineato il ministro, il contesto internazionale resta “caratterizzato da forti elementi di incertezza”. Un chiaro riferimento alle tensioni sui mercati energetici e alle crisi che hanno colpito l’Europa negli ultimi due anni.
Il ministero sta quindi valutando la possibilità di tenere alcune centrali a carbone “in riserva”, pronte a essere riattivate solo in caso di emergenza. Pichetto ha precisato che questa scelta dovrà comunque rispettare le regole nazionali ed europee. Nessun passo indietro sugli obiettivi di riduzione delle emissioni, ma prudenza per evitare blackout o interruzioni improvvise.
Brindisi e Civitavecchia: i nodi più spinosi
Le centrali Enel di Brindisi Sud e Torrevaldaliga Nord (Civitavecchia) sono al centro del dibattito. A Brindisi, la centrale Federico II – con le sue alte torri di raffreddamento ben visibili all’ingresso della città – è uno degli ultimi grandi impianti a carbone ancora in funzione in Italia. A Civitavecchia, invece, la centrale è da tempo oggetto di proteste e discussioni locali. In entrambi i casi, una chiusura definitiva avrebbe un impatto diretto sull’occupazione e sulla stabilità della rete elettrica nel Centro-Sud.
“Stiamo lavorando per assicurare una transizione ordinata”, ha detto Pichetto ai colleghi di governo. Ha aggiunto che ogni scelta terrà conto delle esigenze dei territori e delle indicazioni tecniche di Terna, il gestore della rete nazionale. Fonti del ministero riferiscono che nelle prossime settimane sono previsti incontri con amministrazioni locali e parti sociali per valutare le ricadute sul lavoro.
Europa sotto pressione, l’incertezza continua
La decisione italiana arriva in un’Europa che spinge forte verso la transizione energetica. L’Unione ha fissato obiettivi ambiziosi: tagliare le emissioni del 55% entro il 2030 e arrivare alla neutralità climatica nel 2050. Ma dopo la crisi del gas del 2022 e le tensioni con la Russia, molti Paesi hanno rivisto i loro piani. La Germania, per esempio, ha già rimandato la chiusura di alcune centrali a carbone per far fronte alle emergenze.
In Italia, secondo i dati Terna aggiornati a novembre 2025, il carbone copre ancora circa il 7% della produzione elettrica. Una quota destinata a calare rapidamente, ma che resta importante in caso di picchi di domanda o problemi nelle forniture dall’estero.
Quali saranno i prossimi passi?
Il Governo, ha assicurato Pichetto, seguirà “con attenzione l’evoluzione dello scenario internazionale”. Solo dopo questa analisi si deciderà se tenere alcune centrali “in riserva” o procedere con la chiusura definitiva. Le associazioni ambientaliste hanno già lanciato l’allarme: “Non possiamo permetterci passi indietro sulla decarbonizzazione”, ha detto Stefano Ciafani di Legambiente. Dall’altra parte, i sindacati chiedono garanzie per i lavoratori coinvolti nella transizione.
La partita resta aperta. Nei prossimi mesi, tra tavoli tecnici e confronti politici, si vedrà quale sarà davvero il futuro del carbone in Italia.
