Mohammad Hannoun e il mistero dei fondi per Gaza: tra mazzette, patrimonio e influenze israeliane

Mohammad Hannoun e il mistero dei fondi per Gaza: tra mazzette, patrimonio e influenze israeliane

Mohammad Hannoun e il mistero dei fondi per Gaza: tra mazzette, patrimonio e influenze israeliane

Matteo Rigamonti

Dicembre 31, 2025

Milano, 31 dicembre 2025 – Mohammad Hannoun, presidente dell’Associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese (Abspp), ha scelto di non rispondere alle domande del giudice per le indagini preliminari, Silvia Carpanini, quando ieri mattina si è presentato nel carcere di Marassi. Accanto a lui gli avvocati Emanuele Tambuscio e Fabio Sommovigo. Hannoun, però, ha voluto fare alcune dichiarazioni spontanee, negando ogni legame con Hamas e ribadendo che la sua attività è esclusivamente umanitaria. “Non ho mai voluto, né permesso, che gli aiuti arrivassero a Gaza per scopi diversi da quelli umanitari”, ha detto, spiegando che dopo il 7 ottobre 2023 i trasferimenti in contanti erano diventati l’unica strada percorribile, visto il blocco dei conti correnti.

Le indagini tra rivalità palestinesi e dossier israeliani

Dai documenti in mano alla procura di Genova emerge un quadro complicato, segnato da tensioni interne al mondo palestinese. Hannoun era già finito nel mirino dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), da tempo contrapposta a Hamas. Secondo alcune informative arrivate da fonti israeliane – in particolare due rapporti firmati da un agente chiamato Avi, figura di spicco del Mossad nel settore antiterrorismo finanziario – l’Anp avrebbe aperto un’indagine sull’Abspp e sui suoi referenti a Gerusalemme e Gaza, tra cui Najeh Bakirat e Osama El-Issawi. La procura sottolinea che Hamas ha visto questo controllo come una minaccia. Tuttavia, i difensori degli arrestati mettono in dubbio la validità di queste informazioni in sede processuale.

Il giudice Carpanini ha spiegato che i documenti israeliani sono stati ottenuti attraverso la cooperazione internazionale, seguendo il Secondo protocollo della Convenzione europea di assistenza giudiziaria. “Si tratta di atti extraprocessuali raccolti durante operazioni militari”, si legge nell’ordinanza. Solo alla fine dell’inchiesta, questi documenti sono stati consegnati alle autorità italiane.

Le prove italiane e i server che confermano i documenti

L’indagine su Hannoun è partita nel 2021, ma era stata archiviata per mancanza di riscontri da Israele. Dopo la strage del 7 ottobre 2023, però, tutto è ripreso. Questa volta gli investigatori si sono concentrati su intercettazioni telefoniche e ambientali, immagini di videosorveglianza, analisi patrimoniali e informazioni dell’intelligence italiana. I documenti israeliani sono arrivati solo in un secondo momento. L’esame dei server dell’associazione – spiegano fonti investigative – ha confermato che alcuni file provenienti da Israele sono autentici, rafforzando così la credibilità del materiale raccolto.

Le mazzette per far passare i camion dall’Egitto

Uno degli aspetti più delicati riguarda il passaggio dei fondi verso Gaza. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti – e riportato in una conversazione intercettata il 27 marzo scorso – il “tesoriere” Abu Rawwa Adel Ibrahim Salameh avrebbe detto: “Abbiamo soci che si occupano di Gaza. Stanno facendo entrare 28 camion di farina. L’esercito egiziano chiede 2.500 euro per ogni camion e 400 euro per ogni soldato di scorta. E poi l’associazione ha dovuto versare una mazzetta da 86mila euro”. Col passare del tempo, i controlli si sono fatti più stretti e spostare i soldi è diventato un vero problema. “Abbiamo le mani legate. Il denaro lo portiamo solo a mano”, avrebbe ammesso uno degli indagati.

In un’altra intercettazione, del 20 giugno 2024, Hannoun loda Abu Rawwa: “Tu da solo in otto mesi hai raccolto quello che in tre o quattro anni non si era mai raccolto”. La risposta: “Sì, è vero, senza contare i pagamenti con Pos e altre cose sono arrivato a quasi un milione, circa 900mila euro”.

Gli altri indagati e le mosse per aggirare i blocchi

Oltre a Hannoun, il gip ha convalidato tutti e sette gli arresti. Alcuni indagati – come Yaser Elasaly, Dawoud Raed Hussny Mousa, Adel Ibrahim Salameh Abu Rawwa e Jaber Abdelrahim Riyad Albustanji – hanno scelto di non rispondere. Altri invece hanno parlato: Raed Al Salahat, referente per Firenze, e Abu Deiah Khalil, responsabile a Milano della Cupola d’Oro, hanno negato ogni legame con Hamas. L’avvocato Sandro Clementi ha spiegato che Khalil “ha voluto mettere in chiaro la sua origine laica e di sinistra, lontana anni luce da Hamas”.

Secondo Digos e Guardia di finanza, l’associazione avrebbe in Italia circa cinquanta immobili – capannoni, case, terreni – soprattutto nel Nord Est. Non si tratta di un caso: dalle intercettazioni emerge un sistema ben organizzato di acquisti, affitti e rivendite. Quando la pressione cresce, Abu Rawwa invita a stare attenti: “Non parlate di queste cose. Noi siamo per gli aiuti umanitari. Loro ci stanno dietro. I nostri telefoni sono intercettati al 100%”.

Tra i metodi per evitare il blocco dei conti bancari, è emersa l’idea di aprire nuove società con rappresentanti legali “da sacrificare”. In una riunione, l’avvocato milanese Mohamed Ryah suggerisce: “Apriamo una nuova società e troviamo un altro rappresentante legale da sacrificare. Così evitiamo il blocco dei conti”.

Un’inchiesta ancora in corso

L’indagine sui fondi destinati a Gaza è ancora aperta e ci sono molti nodi da sciogliere, soprattutto sul ruolo delle fonti israeliane e sulla vera destinazione dei soldi raccolti. Gli avvocati degli indagati contestano la ricostruzione della procura e promettono battaglia in tribunale. Intanto, la magistratura italiana continua a seguire i flussi di denaro e le comunicazioni interne all’associazione. Sullo sfondo restano le rivalità tra fazioni palestinesi e l’importanza delle prove arrivate dall’estero.