Pesci fuori dall’acqua: il dolore che dura 10 minuti

Pesci fuori dall'acqua: il dolore che dura 10 minuti
La sofferenza dei pesci allevati in cattività ha attirato l’attenzione della comunità scientifica, in particolare per quanto riguarda il trattamento riservato a specie come la trota iridea (Oncorhynchus mykiss). Questa specie, originaria delle acque dell’Oceano Pacifico, è oggi ampiamente allevata in tutto il mondo, ad eccezione dell’Antartide. Recenti studi hanno rivelato che quando una trota viene estratta dall’acqua e lasciata morire per asfissia, sperimenta fino a dieci minuti di intenso dolore.
Questa rivelazione proviene da un lavoro di ricerca pubblicato sulla rivista Scientific Reports, condotto da un team internazionale di biologi guidato da Cynthia Schuck-Paim, ricercatrice presso il Welfare Footprint Institute negli Stati Uniti. Lo studio ha messo in evidenza una pratica comune nei sistemi di allevamento ittico che spesso porta alla sofferenza inutile degli animali.
La difficoltà di quantificare il dolore nei pesci
Il problema principale legato alla sofferenza dei pesci è la difficoltà di quantificare il dolore che provano. Mentre il dolore nei mammiferi è relativamente facile da comprendere e misurare, i pesci presentano una serie di complessità. Tuttavia, grazie all’introduzione di un nuovo metodo standardizzato, il Welfare Footprint Framework, i ricercatori sono stati in grado di analizzare e valutare l’intensità e la durata degli stati negativi, come lo stress e il dolore.
Lo studio ha rivelato che già dopo cinque secondi di esposizione all’aria, un pesce inizia a mostrare segni di sofferenza. Questa reazione neurochimica, che negli esseri umani è associata a emozioni negative, si manifesta nei pesci attraverso comportamenti di resistenza, come contorsioni e movimenti frenetici. Questi segnali indicano una chiara avversione all’ambiente, evidenziando la loro incapacità di adattarsi a una situazione così stressante.
Le conseguenze fisiche della sofferenza
Durante la loro permanenza fuori dall’acqua, le branchie dei pesci, che sono fondamentali per il loro processo respiratorio, iniziano a deteriorarsi. Le delicate strutture branchiali, che normalmente scambiano ossigeno con anidride carbonica, si attaccano tra loro, provocando un accumulo di CO2 nel sangue del pesce. Questo processo non solo causa dolore, ma attiva anche il sistema di allerta del corpo, portando il pesce a ansimare in un tentativo disperato di ottenere ossigeno.
Con l’aumento dei livelli di CO2, il sangue e il liquido cerebrospinale dell’animale iniziano a acidificarsi, conducendo infine alla perdita di coscienza. Questo ciclo di sofferenza, che può durare fino a dieci minuti, pone interrogativi etici significativi sull’allevamento e sulla cattura dei pesci.
Alternative per ridurre la sofferenza
Una delle alternative proposte per ridurre la sofferenza dei pesci durante il processo di uccisione è lo stordimento elettrico. Questa tecnica, se effettuata correttamente, potrebbe ridurre significativamente il tempo di sofferenza. Tuttavia, gli studi hanno dimostrato che l’efficacia di questo metodo può variare notevolmente. Idealmente, il pesce dovrebbe essere reso completamente incosciente fino alla morte, ma i metodi attualmente in uso non garantiscono sempre questo risultato.
Il dibattito sull’eticità della pesca e dell’allevamento ittico si fa sempre più acceso. Le scoperte recenti hanno spinto molti ricercatori e attivisti a chiedere cambiamenti nelle pratiche di allevamento e nel trattamento dei pesci, proponendo regolamenti più severi e metodi di uccisione più umani. Non solo i pesci, ma anche altri animali marini meritano di essere trattati con rispetto e dignità.
Inoltre, è importante notare che la sensibilità dei pesci e la loro capacità di provare dolore non sono un concetto nuovo. Studi precedenti avevano già suggerito che i pesci possiedono sistemi nervosi complessi e che sono capaci di esperienze emotive. La crescente evidenza scientifica sta portando a una rivalutazione della nostra comprensione della vita marina e delle pratiche di pesca.
La questione della sofferenza dei pesci non riguarda solo la loro vita, ma anche la salute degli ecosistemi acquatici in cui vivono. La pesca eccessiva e l’inquinamento delle acque stanno minacciando la biodiversità marina, e questo ha ripercussioni dirette non solo sugli animali stessi, ma anche sulle comunità umane che dipendono da queste risorse per sostentamento e cultura.
Il cambiamento nelle pratiche di allevamento e pesca è cruciale non solo per i pesci, ma anche per il futuro degli ecosistemi acquatici e per il benessere delle generazioni future. È essenziale che la scienza continui a illuminare questi aspetti e che la società prenda coscienza della realtà che si cela dietro il nostro consumo di pesce.